Al lavoro con la Remoto Community, fondata da Irene Ameglio nei borghi di Montagna - Collaboratori
«Ho vissuto in Corea del Sud, Indonesia, Canada, Costa Rica, a Shanghai, a New York e in altre città». Tornando con la memoria ai suoi due anni e mezzo di lavoro cosmopolita, il 26enne Marcello Ascani fatica a ricordare tutti i Paesi che lo hanno ospitato. La sua, da influencer con oltre 750mila seguaci su Youtube, è una vita fuori dal comune e una chimera per tutti i “nomadi digitali” d’Italia.
Ma chi sono i “nomadi digitali”? Si tratta di lavoratori da remoto, perlopiù esperti di marketing e comunicazione, con un’età media di 40 anni.
Alla base della loro scelta di esercitare professioni itineranti, c’è una nuova concezione del tempo da dedicare al lavoro, contrapposta a quella dei genitori. «Fra i più giovani viene dato molto valore al tempo libero – spiega Ascani -. In generale, accettiamo stipendi minori per vivere meglio: siamo meno aziendalisti e valorizziamo, nel bene e nel male, il viaggio. Che viene visto come massima espressione della felicità, ma a volte è più uno status symbol».
C’è chi lega anche il fenomeno alla crescita delle dimissioni volontarie anche in Italia, ma le chiavi di lettura sono diverse. I più attratti dal “nomadismo digitale” sono proprio i lavoratori dipendenti, spesso laureati. «Io sono un caso particolare – racconta lo youtuber -. Per me viaggiare era un investimento, facendo i video. Nel 2019 ho deciso di partire e di non tornare più, ma mi ha bloccato la pandemia. Oggi ho aperto la mia agenzia a Milano e lavoriamo tutti da remoto: ci vediamo in ufficio una volta al mese».
Fra i “nomadi digitali” si nasconde anche una cospicua minoranza di professionisti (il 14% secondo l’associazione internazionale Brother Abroad): avvocati, architetti e persino medici, molti dei quali sono donne, specialmente in Italia, dove il 54% della popolazione “itinerante” online è femminile.
«Lavoro da remoto per un’agenzia che collabora con l’Onu – spiega Irene Ameglio -. A ottobre 2020 mi sono trasferita nelle Alpi piemontesi, a Pragelato, con una mia amica. Dopo tre mesi, ci trovavamo così bene che non abbiamo più lasciato la montagna». Di borgo in borgo, le due nomadi hanno lavorato per anni ad alta quota, fra una passeggiata nella natura e un’ora trascorsa a coltivare l’orto. «Ho vissuto all’estero e in grandi città – continua Ameglio -. Ma in un borgo si torna al senso originario di comunità, con persone che condividono lo stesso stile di vita: ci facciamo favori e ci si prestano le cose».
Oggi queste lavoratrici vivono a San Sicario, assieme ai suoi 40 abitanti, nell’alta Val di Susa, ma si spostano regolarmente fra Alpi e Appennini per organizzare settimane di lavoro condiviso con altri “nomadi digitali” italiani, riuniti dall’amore per la montagna.
Gran parte dei “nomadi digitali” italiani, non a caso, si dice favorevole a ripopolare, grazie proprio all’attività svolta, i piccoli Comuni, specialmente al Sud. «È una cosa che si può fare – riflette Irene Ameglio – ma restano molti ostacoli pratici: spesso mancano servizi come le scuole, l’assistenza alle famiglie e una vita culturale stimolante. Sono paesi abitati da poche persone, che tirano a campare con fondi scarsissimi».
Nel frattempo, però, sono anche alcuni piccoli Comuni a lavorare in autonomia per salvaguardare il futuro delle proprie comunità, ripartendo dal ritorno delle persone.
Il caso più conosciuto resta quello della virtuosa Ollolai (1.200 abitanti), in provincia di Nuoro, che da anni attira “nomadi digitali” da tutto il mondo. Prima con la vendita a un euro di case da ristrutturare, poi con affitti a un euro per chi lavora da remoto. «Abbiamo ricevuto oltre 2.500 richieste – spiega il sindaco Francesco Columbu – e un mese fa è arrivata la prima lavoratrice americana. I professionisti che vengono devono lasciare, in cambio, un contributo alla comunità: lei terrà un corso di web design».
Il Comune brilla anche per il numero di case vendute: circa una decina. «Sessant’anni fa – conclude il primo cittadino – sarebbe stato difficile, ma oggi la gente ha capito che c’è bisogno di creare nuove economie per non restare soli».
Al lavoro con la Remoto Community, in un borgo di Montagna - Collaboratori