mercoledì 21 agosto 2024
Per il domenicano «la fede non è il punto di arrivo, ma il principio di ogni ricerca»
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Prima ciò che il Meeting non è. L’applausometro dei politici. La fortezza dei cattolici integralisti. Il marketing di Dio. «Nella diversità delle sue proposte, mi sembra piuttosto che il Meeting si assuma il rischio di comprendere il mondo con le sue contraddizioni, lotte e fallimenti, i suoi punti ciechi. Guardarlo come una meraviglia, forse ferita, dove Dio si fa vedere. Per questo ci veniamo, io e voi, perché se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora cosa cerchiamo?». Applausi a scena aperta per il domenicano che cita Weber più di Aristotele. A decodificare il tema della 45esima edizione del Meeting di Rimini oggi è stato Adrien Candiard, membro dell’Institut dominicain d’études orientales (Ideo) e quella che citiamo non era il tentativo di arruffianarsi il pubblico che gremiva la platea e le sale della videodiffusione, ma l’acme del ragionamento filosofico con cui il religioso ha spiegato cosa sia quell’essenziale che - impropriamente - è considerato il tema del Meeting. Già, perché, come ha detto, nella frase di Cormac McCarthy: «Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora cosa cerchiamo?», il focus non è l’essenziale - che poi nell’originale è l’essenza - bensì la ricerca che impegna il cristiano e lo affranca da una società in perenne competizione.

Candiard è partito dalla fondazione del pensiero contemporaneo. «Nel nostro mondo non c’è molto consenso tra ciò che deve essere considerato essenziale - ha raccontato - ma era già la condizione della società del 1919, attraversata, come osservava Max Weber, da diversi sistemi di valori». Il filosofo tedesco parlava di “guerra degli dei” ma erano i prodromi dello scontro sull’essenziale che viviamo oggi: ci possiamo dividere sull’eutanasia, ha osservato padre Candiard, ma non possiamo credere «che la nostra opinione su un tema fondamentale come la vita e la morte possa essere condivisa da tutti, neppure nel nostro entourage, e pertanto ci troviamo in dibattiti interminabili perchè indecidibili». Diversamente dall’inizio del Novecento, quando si pensava ancora di poter distinguere i fatti dai valori, riservare le decisioni sui primi alla scienza e lasciare i secondi alla coscienza, adesso si esclude la discussione dall’intero dibattito. «Oggigiorno si può fare tutto ma non discutere dell’essenziale oppure possiamo parlarne quanto vogliamo purché non cerchiamo di aver ragione, ne possiamo parlare purché non consideriamo nel nostro essenziale più vero di quello del vicino. Il politeismo dei valori ai tempi di Weber era un dato di fatto e per noi è diventato nelle democrazie pluraliste una questione di diritto, affinché nessun sistema di valore possa mai imporsi».

Che posto prende, in un simile contesto, il cristiano? Papa Benedetto XVI, ha osservato Candiard, ha «cercato di ricreare l’universale e riaffermare la possibilità di un terreno comune - la razionalità - per la discussione tra gli uomini, per rimettere la discussione sull’essenziale al centro del dibattito. È lo sforzo che fa anche il Meeting, ma dobbiamo affrontarlo senza illusioni: il pluralismo delle società è dal punto di vista umano insormontabile, ed è questa società che abbiamo evangelizzare». Possibilmente sfuggendo alle tentazioni ricorrenti di «tuffarsi a capofitto nel grande mercato delle idee in cui ciascuno propone a una folla disorientata la propria idea dell’essenziale», ha commentato, ricordando che un Vangelo imposto in chiave competitiva non è Vangelo.

È a questo punto che si comprende come, per arrivare all’essenziale si debba accogliere lo stile della ricerca: «La fede non è il punto di arrivo e quindi la fine di ogni ricerca. Ma è il principio di una ricerca continua senza la quale è solo una idolatria in più» avverte il religioso. «Affermare di possedere l’essenziale non è cercarlo e una Chiesa che porta a cercarlo ovunque si trovi non è una Chiesa che richiede l’adesione. Dobbiamo accettare che la fede non sia ossessione dell’essenziale ma l’inizio della ricerca». Ciò non significa vivere nel dubbio, «ma credere che non siamo mai arrivati alla fine della ricerca e che non possediamo mai Dio e che per l’eternità saremo sempre in procinto di scoprirlo». Ricercare, dunque, ma esattamente dove?

«Non cerchiamolo nelle definizioni - è l’invito di Candiard - ma prendiamo sul serio il racconto della Creazione» a lanciare sul mondo «lo stesso sguardo del Creatore». Innanzi tutto negli esseri umani. «Guardarli con riconoscenza, gioia, benedizione. Ma questa essenza va cercata. A volte non è affatto evidente», perché il male esiste e non va trattato - il male - con indulgenza, ma l’essenziale è nascosto anche nel peccatore. «Se ogni uomo è immagine di Dio, il peccato gli ha fatto perdere quella somiglianza e la vita cristiana non è solo ritrovarla ma anche cercarla appassionatamente negli altri; finché non abbiamo visto la bontà negli esseri significa che non abbiamo ancora finito di cercarla». Un programma di vita che non ha nulla di sentimentale: il domenicano ha inquadrato al contrario «l’esigenza mistica di lasciare che da ogni incontro nasca una epifania, una manifestazione di Dio. Cercare in ogni persona la presenza di Dio anche se ben nascosta è ciò che fa Gesù: beati i puri di cuore... Il prossimo è il luogo in cui ogni vita cristiana deve radicarsi anche quando è difficile e arido; tuttavia per individuarlo serve un cuore puro capace di vedere nell’altro il Dio vivente, senza perdersi nel secondario» - come ad esempio le polemiche mediatiche - e cercando di «trasformare il mondo un cuore alla volta», ha concluso.

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