martedì 15 luglio 2014
Il lussemburghese alla guida della Commissione.
Crescita e politica estera, due sfide non retoriche di Vittorio E. Parsi
ANALISI
Caso Mogherini, il pressing del governo di Giovanni Maria Del Re
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Un piano di rilancio dell’economia da 300 miliardi di euro, rispetto del Patto di stabilità ma anche "incentivi" a chi le riforme le fa, grande attenzione per le politiche sociali. Si può può ben dire che Jean-Claude Juncker presentandosi martedì al voto alla plenaria del Parlamento Europeo a Strasburgo è voluto andare sul sicuro, cercando di recepire al meglio le sensibilità dei gruppi che gli avevano assicurato il proprio sostegno: Popolari, Socialisti e Liberali. Certo, alla fine sono mancati 57 voti alla somma totale dei rispettivi eurodeputati (ha avuto 422 sì su un totale di 479 dei tre gruppi, 250 sono stati i voti contrari), ma lo si sapeva già (i socialisti spagnoli hanno annunciato il voto contrario, quelli francesi l’astensione). La verità è che è andata «molto meglio di quanto io stesso mi sarei immaginato», ammetterà lo stesso Juncker in conferenza stampa. Siamo ampiamente al di sopra della soglia minima per la maggioranza, 376 voti. Juncker potrà andare, insomma, a testa alta questa sera alla cena dei leader a Bruxelles che dovranno decidere delle altre nomine Ue.Il lussemburghese ha citato come suoi riferimenti Jacques Delors, François Mitterrand e Helmut Kohl. Si era preparato bene, lavorando fino alla notte di lunedì a un programma di 18 pagine e 10 punti distribuito poi al mattino presto agli eurodeputati e sostanzialmente ribadito in aula, alternando francese, tedesco, inglese. Un programma che mette al centro proprio la crescita e l’occupazione, oltre al rilancio della competitività con il rafforzamento del mercato interno e l’agenda digitale. Soprattutto, spicca l’impegno al piano da 300 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati in tre anni, a partire da febbraio 2015, utilizzando meglio i fondi strutturali e le risorse della Banca Europea per gli investimenti. Il tutto condito da un elogio all’economia sociale di mercato, sottolineando che «l’economia deve essere al servizio della gente e non il contrario». Spiega che «il salvataggio dell’euro era necessario, ma è stato debole sul fronte sociale. È inaccettabile per me che operai e pensionati abbiano dovuto sostenere il peso dei programmi di riforme strutturali, mentre armatori e speculatori finanziari sono diventati ancora più ricchi». Certo, Juncker ha avvertito che «il Patto di stabilità non lo modificheremo» perché «la stabilità è stata promessa con l’introduzione della moneta unica e io non violerò questa promessa», «con i debiti non si costruisce il futuro». E però il vertice di giugno «ha constatato che ci sono margini di flessibilità che devono essere utilizzati: lo abbiamo fatto nel passato e lo faremo anche di più nel futuro». Juncker chiede un governo europeo dell’economia e,  soprattutto, propone che, «se Stati membri dell’Eurozona faranno sforzi particolarmente grandi, allora dobbiamo riflettere su incentivi finanziari che potrebbero accompagnare questo processo. In questo contesto dovremmo riflettere sulla creazione di una capacità di bilancio propria dell’Eurozona». L’euro, ovviamente, non si tocca, «la moneta unica non divide ma protegge l’Europa» dirà Juncker tra i fischi di euroscettici e destre. Altra promessa che piace all’Italia è quella sull’immigrazione, il lussemburghese ha parlato della necessità di una «politica comune in materia di asilo» e della necessità di «proteggere le frontiere esterne» mostrando «solidarietà nord-sud», perché il Mediterraneo non è «solo la frontiera di Italia, Malta, Grecia, ma di tutta l’Europa». Il tutto condito dall’annuncio di una nomina di un commissario per l’Immigrazione. «Molto bene Juncker – ha commentato il sottosegretario agli affari europei Sandro Gozi – ritroviamo priorità su cui l’Italia all’inizio era da sola ed ha insistito moltissimo». Certo è che, a parte qualche fischio da parte degli euroscettici, la fine del discorso di Juncker è stata salutata da un lungo applauso. Il capogruppo dei Socialisti e Democratici Gianni Pittella ha definito «convincente» il programma di Juncker, pur avvertendo che il sì «non sarà un assegno in bianco». Solo una scaramuccia con Marine Le Pen, «sono contento che lei non mi vota», le dirà Juncker. «È un giorno storico per l’Ue e la democrazia europea – ha commentato il presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz – per la prima volta votiamo per un presidente indicato dagli elettori, e non accordi di retrobottega». Adesso, però, per Juncker inizia la fatica, mettere insieme la nuova Commissione. E avrà bisogno di donne, altrimenti, avverte Schulz, se saranno solo 2 o 3 a ottobre «il Parlamento non la voterà». Per ora il neopresidente sui commissari si tiene coperto, ma dovrà decidere entro inizio agosto.

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