sabato 27 dicembre 2014
Nel decreto le «tutele crescenti», ma restano i contratti precari. Stop al reintegro: indennizzo di 2 mesi per ogni anno.
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Alla vigilia di Natale Matteo Renzi l’ha presentata come «una rivoluzione copernicana». Fatta la tara all’effetto-propaganda del governo, il 24 il Consiglio dei ministri ha varato l’atteso decreto legislativo (in 12 articoli) relativo al cosiddetto contratto a tutele crescenti, con le nuove norme in vigore dal 2015 - sui licenziamenti che superano il 'vecchio' articolo 18 per i lavoratori assunti a tempo  indeterminato. Di fatto il testo segna, dopo 44 anni dallo Statuto del 1970, l’annunciato addio alla possibilità del reintegro (deciso dal giudice) nel posto di lavoro in caso di licenziamento per motivi economici e in buona parte dei licenziamenti disciplinari: sarà sostituito  da un indennizzo monetario. Una novità finale è stata che le nuove norme si applicano anche ai licenziamenti collettivi (che sono di natura 'economica' per definizione), un’estensione che ha dato la stura a nuove polemiche. Mentre non è entrato l’opting out (chiesto dal Ncd), ovvero l’opzione aziendale, cioè la facoltà per l’impresa di 'superare' in ogni caso il reintegro pagando un indennizzo ancor più alto. Restano (per ora) tutti gli altri contratti. Una premessa da fare è che, per il momento, restano in vigore tutte quelle decine di forme contrattuali precarie - dai collaboratori a progetto in giù - la cui abolizione è stata ripetutamente annunciata nei mesi scorsi. La loro soppressione è rinviata a un altro, successivo decreto. Per ora i precari restano, insomma. Anche se il governo scommette che le nuove tipologie porteranno già gli imprenditori a non ricorrere ai contratti precari. Licenziamenti: cosa cambia. Finora, per il singolo lavoratore mandato via da un’azienda senza una giusta causa era previsto sempre il diritto al reintegro per quelli discriminatori e, nelle imprese sopra i 15 dipendenti, anche in quelli disciplinari o per altro motivo. Con la riforma resta, in linea generale, solo per quelli per discriminazione (politica, razziale, ecc.). Le 'tutele crescenti', ovvero l’indennizzo. In tutti gli altri casi, al posto del reintegro il giudice condannerà l’impresa a pagare un indennizzo: partirà da 2 mensilità per ogni anno di servizio, con un tetto minimo di 4 mensilità e uno massimo di 24 (quindi 2 anni pagati). Il minimo di 4 mensilità scatta subito dopo il periodo di prova, con l’obiettivo di scoraggiare licenziamenti 'facili' visto che dal 2015 i nuovi contratti godranno anche dei benefici triennali fiscali previsti dalla Legge di stabilità. Per le imprese fino a 15 dipendenti, però, l’indennizzo è 'dimezzato e non può superare il tetto delle 6 mensilità'. È confermata la conciliazione veloce: per evitare di finire in giudizio, il datore di lavoro può offrire un importo (attenzione: esentasse!) pari a una mensilità per anno di anzianità, fino a un massimo di 18 mensilità (qui il minimo è di due). Licenziamenti collettivi. La nuova disciplina vale anche per i casi di crisi aziendali. Il rischio è di avere però indennizzi minori: per questo Cesare Damiano (Pd) ricorda che «devono restare qui i parametri fissati dalla legge 223 sull’anzianità di servizio e i carichi familiari». Il 'caso disciplinari'. Renzi ha rivendicato come una novità il fatto che, nei licenziamenti disciplinari, il reintegro rimane quando viene dimostrata l’«insussistenza del fatto materiale» contestato al lavoratore. Il dissidente Stefano Fassina fa però notare che si tratta di «un canale puramente virtuale» perché «nessuna impresa rischierà la strada del 'disciplinare' quando il licenziamento economico è senza rischio di reintegro». Piccole imprese: reintegro anche per loro? Nel decreto ci sono altre 2 norme che riguardano le Pmi. Si fissa che, nel caso di nuove assunzioni che fanno superare loro la soglia dei 15 addetti, si applicano a tutti i dipendenti - sia vecchi sia nuovi - le nuove norme, e quindi l’indennizzo, al posto di quelle del 1970. L’altra norma contiene «un’anomalia », segnalata da Enzo De Fusco della Fondazione studi consulenti del lavoro: «Anche sotto i 15 addetti – dice De Fusco – si può realizzare il reintegro nel caso di licenziamenti ritenuti nulli o per specifici motivi disciplinari». Arriva il contratto di ricollocazione. L’ultima novità (questa attesa) riguarda l’istituzione all’Inps di un Fondo (finanziato con non più di 50 milioni per il 2015 e 20 nel 2016) per ricollocare i lavoratori in disoccupazione. Il lavoratore licenziato illegittimamente riceverà così da un Centro per l’impiego, che finora hanno operato però con esiti deludenti (e scarse professionalità), un voucher da presentare a un’agenzia per il lavoro: con questo buono avrà diritto - dice il testo - a un’«assistenza appropriata nella ricerca della nuova occupazione', che non potrà rifiutare.
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