E arrivò il giorno della verità, il tanto evocato 24 gennaio della sentenza della Consulta sull’Italicum. L’udienza pubblica è convocata per le 9 e 30, poi nel pomeriggio i giudici si riuniranno in camera di Consiglio. La sentenza è prevista per la serata, o - al massimo - per domattina.
Tempi rapidi, in ogni caso, essendo la materia già stata vagliata e sgrossata dai giudici, riunitisi ieri in pre-consiglio, dopo che ben cinque tribunali (Messina, Torino, Perugia, Trieste, Genova) hanno dato seguito ritenendole non manifestamente infondate a una decina di eccezioni sollevate. I due elementi più a rischio della legge varata nel maggio 2015 sono il ballottaggio, che scatta nell’ipotesi che nessuna lista superi il 40 per cento (soglia minima per acquisire già al primo turno il premio di maggioranza) e le pluri-candidature a capolista, che - costringendo all’opzione - porterebbero a un aggiramento del rapporto fra elettore ed eletto nelle circoscrizioni non optate. Ma anche la scelta stessa dei capilista potrebbe finire sotto la scure. Perché, ad eccezione dei partiti maggiori, quelli che difficilmente vedranno scattare più di un seggio per circoscrizione, potrebbero vedere promossi unicamente o quasi candidati 'indicati' dall’alto, sottratti al gioco delle preferenze, attualmente previste nel numero di due con alternanza di genere. Come già accaduto in pronunciamenti del genere la Consulta si impegnerà in ogni caso a non lasciare vuoti normativi, indicando al Parlamento anche la soluzione, una volta cassati gli aspetti incongrui e incostituzionali.
M5S teorizza da tempo il 'Legalicum' per andare al voto al più presto: ossia la legge in vigore con le correzioni. Il problema però si pone ora anche per il Senato, sul quale la legge elettorale non si pronuncia, ma che è stato rimesso 'in vita' dalla bocciatura della riforma che lo retrocedeva a organo non più elettivo. Un bel pasticcio. Alla vigilia della sentenza Beppe Grillo avverte: «Noi vogliamo votare subito e per farlo è sufficiente adattare il Legalicum anche al Senato per avere una legge omogenea per le due Camere. Non è la legge perfetta, ma questa maggioranza, eletta col Porcellum, non deve azzardarsi a rimettere mano alla legge più importante dopo la Costituzione », taglia corto, pur ricordando tutta l’avversione manifestata al tempo del varo di questa legge elettorale. Ma ora «Pd, Forza Italia e compagnia vogliono rinviare il voto, giungere a fine legislatura, e creare il sistema elettorale ritagliato su misura per impedirci di andare al governo: l’ 'Anticinquestellum'.
Glielo impediremo», promette Grillo. Ma se il vuoto normativo sarà evitato, in tanti nutrono dubbi sulla concreta 'auto-applicatività' della sentenza. In ogni caso, per capire come procedere, ci sarà prima da attendere le motivazioni della sentenza, per le quali la Corte ha 30 giorni (anche se difficilmente stavolta se li prenderà tutti). «Se salta il ballottaggio - ragiona Pino Pisicchio, capogruppo del misto alla Camera e grande esperto in materia - servirà comunque una legge che decida, in assenza di premio di maggioranza, l’assegnazione dei seggi col proporzionale. E anche sul premio di maggioranza la decisione, se darlo al partito o alla coalizione, tocca in ogni caso alla politica». D’altronde una delle ragioni che ha indotto Mattarella a frenare la corsa verso le urne è la necessità di dare alla politica un tempo ragionevole per trovare una soluzione «omogenea » Camera-Senato, onde poter sperare che dal voto venga fuori un quadro istituzionale praticabile.
Qualcosa di meglio, insomma, del cosiddetto Consultellum, la vecchia norma per il Senato corretta alla luce della sentenza sul Porcellum: una soluzione rabberciata se, ancora una volta, la politica non riuscirà a dire la sua. «Qualunque essa sia, serve una decisione che non perda altro tempo. Sarebbe inaccettabile una sentenza all’italiana, che decide ma non decide», avverte anche Matteo Salvini. Ma nel centrodestra ci sono visioni opposte: «Dopo la Consulta - dice il capogruppo alla Camera Renato Brunetta - tocca al Parlamento legiferare».