Al momento del Padre Nostro, a braccia levate stando attenti a non perdere l’equilibrio, don Mattia s’è quasi commosso. Sulla Mare Jonio, per la celebrazione della domenica, c’erano tutti i ragazzi di Mediterranea. Stanno per riprendere il largo. E con loro stavolta c’è un prete.
Dopo sei mesi di missioni, testimonianze, i primi salvataggi, le denunce in tribunale, gli attacchi della politica, il sostegno da Comuni, associazioni, movimenti e anche parrocchie di tutta Italia, quelli di Mediterranea se lo dicevano ogni volta che «su quella nave manca qualcosa». Certo, nella sacca tengono la 'Laudato Sì' di Papa Francesco, lo stanzino per i pasti è tappezzato di immagini sacre. Però, «manca qualcosa», dicevano.
Indossati i paramenti e disposto l’altare tra i tralicci del vecchio rimorchiatore – nella sua seconda vita diventato un brigantino alla ricerca delle vite alla deriva – quando don Mattia ha chiesto chi fosse disposto a servire Messa, lì sul vascello che si vorrebbe liquidare come «nave dei centri sociali», hanno dovuto fare a pari e dispari. Beppe, Roberto, Fulvia, il comandante e tutti gli altri volontari, si sono divisi i compiti: le letture, il salmo, la preghiera dei fedeli. Allora, dopo il segno del cristiano, hanno capito che adesso a Mare Jonio non manca più nulla.
Sacerdote da meno di un anno, il venticinquenne don Mattia Ferrari insieme alla diocesi di Modena e a quella vicina di Bologna spesso si è trovato a mettere insieme quelli dell’oratorio e gli attivisti di associazioni come Ya Basta e Labas. Un’amicizia nata per strada, tra i disperati. «Due anni fa – racconta don Mattia – accolsero Yusupha, un ragazzo migrante che dormiva in stazione a Bologna e per il quale non riuscivamo a trovare posto. Bussammo alla loro porta, e loro accolsero Yusupha con gioia. E grazie a loro Yusupha, dopo anni vissuti nell’abbandono, è rinato. Ha ripreso a vivere con dignità, perché si è sentito amato». È nata così la loro amicizia anche con l’arcivescovo Matteo Zuppi.
Don Mattia è proprio come ti immagini che sia un prete giovane. Chi vorrà appiccicargli addosso il cliché del don barricadero, non né troverà traccia. Fresco di barba, impeccabile in jeans e camicia clergy, i modi garbati del seminarista docile. Difficile, però, non leggergli nello sguardo la vocazione, e nelle parole una determinazione che sembra non avere molto a che vedere con tanti suoi coetanei. «Sono qui – dice – per vivere il Vangelo di Gesù accanto a questi ragazzi affamati di giustizia e operatori di pace. Sono qui per portare la vicinanza della Chiesa di Gesù a questi ragazzi che rischiano la loro stessa vita per salvare quella del prossimo, e ai migranti che casomai verranno salvati durante la missione».
In seminario c’è entrato a 18 anni, appena dopo il diploma al liceo classico di Modena. La prima Messa l’ha celebrata meno di un anno fa, il 25 maggio. Una cosa, il futuro viceparroco, l’aveva chiara: non sarebbe stato un tipo da sacrestia. Perciò, a bordo di Mare Jonio, don Mattia sentiva che doveva esserci. Specie dopo la Via Crucis con Papa Francesco. Se lo ripete e lo ripete a bordo: «Mentre nel mondo si vanno alzando muri e barriere, vogliamo ricordare e ringraziare – aveva detto Francesco – coloro che con ruoli diversi, in questi ultimi mesi, hanno rischiato la loro stessa vita, particolarmente nel Mar Mediterraneo, per salvare quella di tante famiglie in cerca di sicurezza e di opportunità. Esseri umani in fuga da povertà, dittature, corruzione, schiavitù». Essere a bordo delle navi di soccorso «fa parte della nostra missione», osserva don Gianni De Robertis, direttore della Fondazione Migrantes della Cei. «Nel volto dei migranti – aggiunge – noi vediamo il Cristo che ci viene incontro e non possiamo non essere lì dove questi fratelli ci tendono le braccia».
Durante la Messa domenicale don Mattia ha perciò voluto ringraziare papa Francesco per la testimonianza, e poi il suo vescovo, Erio Castellucci, e i presuli di Bologna e Palermo, Zuppi e Lorefice, che lo hanno sostenuto in questa scelta insieme ai suoi parrocchiani di Modena che con i suoi confratelli, don Alberto Zironi e don Riccardo Fangarezzi, gli hanno consentito di salpare. «Mi sento di benedire e incoraggiare le persone di buona volontà che sono su quella nave – dice l’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice – ed è un bene che ci sia un sacerdote con loro, perché i valori del Vangelo e gli uomini di buona volontà si incontrano sempre».