giovedì 8 agosto 2024
Intervista al deputato di Azione: «Tradite le funzioni che la Costituzione assegna alla pena. Con nuovi reati ogni giorno la situazione non cambierà»
Benzoni: «I veri problemi sono ignorati. Nessun intervento su lavoro e salute»

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Fabrizio Benzoni, deputato di Azione, da tempo attivo sul tema carceri, cosa non la convince di questo decreto?

Non affronta il problema vero e per la situazione che abbiamo questo è inaccettabile. E non parlo del sovraffollamento, che è solo la punta dell’iceberg. L’emergenza suicidi non è frutto del sovraffollamento, ma di un sistema carcerario che non risponde alle funzioni che gli assegna la Costituzione. Per tante ragioni, alcune storiche, altre riconducibili all’attuale governo. Questo decreto non ne affronta nessuna.

Può indicarne alcune?

Quando usciamo dai numeri, parlo dei 64 suicidi nell’arco dell’anno, ed entriamo nelle storie, capiamo che c’è qualcosa che non va. Tra questi decessi c’è qualcuno che si è suicidato il giorno del suo compleanno a 3 settimane dalla scarcerazione. Se dopo 3 anni di detenzione non riesci a sopportare gli ultimi giorni, significa che hai paura di uscire, perché il carcere non ti ha dato gli strumenti per rifondare la tua vita. Faccio poi notare che di questi 64 suicidi, 15 si sono verificati nei primi 15 giorni di detenzione, 5 nei primi 3. In molti casi i detenuti erano in attesa di giudizio, quindi innocenti fino a prova contraria.

Cos’altro manca nel testo?

Non si citano mai le parole “lavoro” e “formazione”. Secondo il Censis, il 70% di chi esce dal carcere reitera il reato nell’arco di pochi mesi. Ma solo il 2% di chi ha avuto la possibilità di lavorare e formarsi ci torna. Se ti formi, il giorno che esci hai una cooperativa che ti conosce, un mestiere. Puoi trovare lavoro, ricominciare a vivere. Altrimenti l’unico approdo che hai è il compagno di cella uscito prima di te. Un decreto che vuole affrontare il problema del carcere ma non immagina e non nomina neanche il lavoro e la formazione è destinato al fallimento.

Perché sono così pochi quelli che possono lavorare?

Prima di tutto non ci sono incentivi adeguati per poter inserire le aziende all’interno delle carceri. Poi non ci sono gli spazi, perché le strutture sono vecchie, non sono immaginate per questo. Infine, anche dove ci sono i laboratori, spesso non sono aperti perché non c’è un numero adeguato di operatori di polizia penitenziaria per sorvegliarli.

Ma il decreto prevede nuove assunzioni?

È l’unica parte buona, tenendo conto del fatto che gli agenti sono sottodimensionati in tutte le carceri italiane.

Anche le risorse sono inadeguate?

Sì e soprattutto non finanziano le misure che servono. A parte il reinserimento, manca tutto ciò che riguarda la sanità e la salute psichiatrica. In tutte le carceri in cui siamo andati i problemi maggiori sono due: la mancanza di un presidio sanitario adeguato e l’altissima percentuale di dipendenze, non solo da stupefacenti ma anche da psicofarmaci. Le diagnosi psichiatriche sono tantissime, ma gli psichiatri in alcuni casi ci sono solo una volta a settimana e cambiano continuamente, questo non garantisce la continuità terapeutica. Nel dl c’è l’idea di finanziare qualche casa di comunità, le Rems. Ma è una soluzione tampone e per i numeri che vediamo l’obiettivo che si dà è distante anni luce da quello che dovrebbe essere.

Cosa ne pensa della pdl Giachetti e dell’ennesimo rinvio del governo?

Era una grande occasione per una risposta immediata anche se non sistemica. Era necessario votarla, almeno per dare un segnale. Perché possiamo anche svuotare le carceri, ma se ogni giorno il governo crea nuovi reati o penalizza comportamenti, non farà che aumentare la popolazione carceraria e torneremo presto alla situazione attuale.

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