martedì 20 agosto 2024
Robinah Nabbanja, ospite al Meeting di Rimini, spiega perché finora molti Paesi africani hanno preferito rivolgersi alla Cina
La premier Robinah Nabbanja al Meeting 2024

La premier Robinah Nabbanja al Meeting 2024

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«In nome di Dio e del mio Paese». Parole di altri tempi, quelle che Robinah Nabbanja pronuncia alla fine di ogni discorso. Infatti queste parole vengono dal futuro: la premier dell’Uganda governa un Paese in cui un cittadino su due non è ancora maggiorenne, il 23% della popolazione in età lavorativa ne ha meno di 35 ed entro il 2050 raddoppierà, raggiungendo i cento milioni. «Con il Piano Mattei e altre opportunità, come l’investimento tecnologico, daremo lavoro a tutti i giovani, ma l’Europa deve guardare con fiducia ai nostri sforzi» ci dice e lo sguardo è quello di chi chiede, non di chi mendica. I tempi sono cambiati: l'Africa è un partner corteggiato - «apprezziamo molto il cambiamento di atteggiamento negli europei, siamo qui per questo» sottolinea - e il primo ministro di uno dei Paesi più stabili dell’Africa centrale al Meeting di Rimini ha un appuntamento con il ministro degli esteri Tajani. La incontriamo subito dopo il dibattito che l'ha visto impegnata con il direttore generale della Cooperazione italiana, Stefano Gatti, promosso da Avsi, una delle Ong più attive nella formazione dei giovani africani, che si è distinta con il progetto Say (finanziato dagli olandesi). Ma ecco cosa chiede Nabbanja all’Europa e all’Italia.

Di questi tempi, si fanno molti progetti sull’Africa. Ma l’Uganda che progetti fa?

Siamo qui in Italia, con il ministro dell’agricoltura e il direttore degli investimenti, per valorizzare la filiera del caffè: l’agricoltura è un settore importante ma dobbiamo fare in modo che il prezzo all’origine cresca, per sostenere la popolazione rurale. Le attività di formazione dell’Avsi e di altre Ong sono preziose e il nostro governo, grazie alla stabilità che dura da decenni, sta creando centri di formazione e hub di innovazione tecnologica. Abbiamo già 8 parchi industriali e li porteremo a 25, creando 5 milioni di posti diu lavoro. Non sono solo progetti. Un solo programma ha creato oltre settemila piccole imprese e 16mila posti. Cerchiamo partner.

Cosa pensa del piano Mattei?

Siamo un Paese benedetto dalla natura, che ha acqua e cibo per gli ugandesi (quasi 46 milioni di persone) e anche per i rifugiati (1,6 milioni) e guardiamo al piano Mattei come a una grande opportunità di sviluppo. Ma ci sono dei nodi.

Quali?

Gli accordi bilaterali con la Banca Mondiale e il FMI non hanno favorito lo sviluppo perché ci hanno imposto condizioni non favorevoli: accedere a quei finanziamenti per noi è troppo difficile ed è la ragione per cui stiamo cercando fondi dai cinesi e dagli arabi. I ratei d’interesse sono più convenienti e le condizioni più flessibili. Ai Paesi europei chiediamo che guardino con maggior fiducia ai nostri sforzi perché si possa realmente accedere ai finanziamenti di cui parliamo.

Esattamente, cosa significa “condizioni non favorevoli”?

Servono troppe approvazioni per arrivare al finanziamento di un’opera. Prendiamo un’autostrada: serve un ok per il test sul suolo, un ok sul tipo di asfalto…e così via. Troppa burocrazie a tempi lunghi. Chiediamo anche alla Banca Mondiale di riflettere e cambiare queste procedure. Vogliamo crescere più in fretta.

Avete tanti giovani che cercano lavoro e tanti rifugiati da sfamare. Come fate a essere così stabili?

Siamo stati anche noi dei rifugiati e oggi ci sentiamo nel dovere di accogliere tutti; lo facciamo anche grazie agli aiuti dell’Unione europea. La stabilità si deve alla buona politica di Museveni e i rifugiati non la intaccano: abbiamo risorse naturali, la natura ci favorisce, piove molto e i rifugiati trovano accoglienza e lavoro.

Non temete che qualche Paese africano possa invidiare la vostra stabilità?

No, perché noi abbiamo esportato stabilità. In questi anni, il nostro Paese ha aiutato la maggior parte delle nazioni che lo circondano. Abbiamo erogato prestiti al Congo per armare l’esercito e al Sud Sudan, al Rwanda, al Burundi, alla Somalia, anche qui grazie agli aiuti europei, come pure alla repubblica centrafricana. Esportiamo sicurezza. La maggior parte dei Paesi che ci circondando sono stabili anche grazie a noi. Non siamo preoccupati.

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