mercoledì 23 settembre 2020
L'ex premier: avete valori comuni, ora serve un progetto sul futuro. Così vincerete le prossime elezioni. Guai a una legge proporzionale, sarebbe una condanna per l’Italia e la morte della democrazia
Romano Prodi in un'immagine d'archivio

Romano Prodi in un'immagine d'archivio - Ansa

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«In fila ai seggi ho visto la speranza di un Paese. Sì, dietro questa partecipazione, così forte e anche così inattesa, c’è un’Italia che si fida». Romano Prodi non si ferma su quello che è successo, «sul governo che si consolida, sui risultati che rafforzano Conte». Ragiona subito su quello che succederà. Sulle sfide che attendono il premier e le due forze politiche che lo sostengono. E sulle insidie che dovranno schivare. E allora il Professore si rivolge subito a Conte, al Pd e al Movimento 5 stelle con un messaggio destinato a fare titolo: «C’è un Paese da cambiare, non va deluso». Dietro questo appello prende forma una scommessa ambiziosa e al tempo stesso complicata. «Nel Pd e nel M5s ci sono anche valori unificanti, ma ora serve un salto di qualità. Serve un grande progetto di rinascita morale. Servono decisioni di respiro...». Prodi insiste: «È inutile discutere ancora sulle controversie del passato: queste non possono che dividere. È, invece, il momento di tirare fuori idee sul futuro. Perché riuscirci vuol dire risollevare l’Italia e anche vincere le prossime elezioni».

L’Italia che cosa si deve aspettare da un’alleanza Pd-M5s?
I cittadini sono stanchi di chi promette il taglio delle tasse e non lo realizza, di chi accarezza i sentimenti superficiali. Vuole un progetto grande. Di prospettiva. E vuole anche obiettivi scomodi, ma capaci davvero di incidere sul futuro. Penso a un riaccorpamento etico del Paese con un grande piano di lotta all’evasione fiscale. E penso alla grande questione giovanile. Ai diritti: una scuola che funziona. E ai doveri: un grande progetto di servizio civile obbligatorio. I nostri ragazzi e le nostre ragazze hanno bisogno di esperienze e di sentirsi davvero comunità.

Finora questo progetto sul futuro però non si è visto.
È vero: questi punti non sono stati nemmeno sfiorati. Ma è il momento. Basta giochini. Basta estenuanti confronti su qualche opera pubblica. La sfida è solo una: il futuro del Paese. E solo su questo si può fondare una alleanza.

Il primo banco di prova poteva essere sui fondi del Mes ma sono emerse solo rigidità.
Quei soldi ci servono, è una pazzia anche solo pensare di farne a meno. E non è politica, è solo buonsenso. E il buonsenso è il primo pilastro di ogni governo.

Lei però conosce le diffidenze.
Provo allora a spiegarmi: un prestito a tasso zero lo prendi e basta. Poi se il creditore dovesse fare il furbo (e non sarà così) lo ridai indietro. È la meravigliosa mentalità contadina.

Conte ha la forza che serve?
Non lo so se ce l’ha, ma so che ce la deve avere. C’è un proverbio calabrese che mi viene in mente: <+CORSIVO50>Chi pecora si fa, il lupo se lo mangia.

E intanto la partita su Recovery Fund è già partita.
Disporremo di 200 miliardi e sono arrivate proposte per 600. Non va bene. Non funziona. La strada è individuare le priorità e poi metterle in fila. Non il contrario. E tocca a Conte e ai ministri economici di Pd e M5s, Roberto Gualtieri e Stefano Patuanelli, fare sintesi. Anche su questo si valuteranno il governo e le due forze che lo sostengono.

Anche perché c’è un colossale debito pubblico che fa paura.
Il debito pubblico si vince solo con due strumenti: molta crescita e un po’ di inflazione. Sull’inflazione non possiamo agire ma sulla crescita sì: le risorse ci sono e la responsabilità è nostra. Vede, nel mio governo il debito calava a vista d’occhio perché avevamo individuato le priorità. Ora tocca a Conte.

Lei diceva: il governo si consolida, ma... Cosa la preoccupa?
Non la vittoria del Sì, ma quello che potrebbe venire dopo: una legge elettorale proporzionale. Serve invece un sistema maggioritario che obblighi a mettersi insieme per il futuro del Paese. Ma purtroppo si dichiara già di voler andare nella direzione opposta. Un sistema proporzionale condannerebbe l’Italia a una nuova stagione di instabilità. Una lista di nominati sarebbe una tragedia per la democrazia. Così il nostro Paese non si salva. E poi...

E poi che cosa?
Insisto: non può essere il partito che decide chi sarà eletto. I partiti devono essere obbligati a selezionare, scegliere e puntare su candidati capaci di vincere nel loro collegio. Devono essere eletti dai loro elettori. Serve allora un profondo cambio di rotta anche perché oggi il rapporto tra parlamentare e cittadino non esiste più. Oggi i parlamentari non li conosci, non sai dove trovarli, spesso non hanno più nemmeno un luogo dove incontrare i cittadini.

Come legge questo voto nelle Regioni?
È un voto che ridimensiona le forze populiste e che dà fiducia alle strutture più democratiche. Il Pd riguadagna terreno. Salvini, ma anche il M5s, fanno un netto passo indietro. E poi è un voto che punisce severamente gli scissionisti. L’elettorato non ama le frammentazioni: quasi istintivamente capisce che non vanno bene. Le interpreta come forme di personalismo e tende a premiare o il partito più grande o chi rappresenta la continuità.

Quando Renzi fondò Italia Viva lei fu severo: somiglia a uno yogurt che ha scadenza ravvicinata. Aveva ragione?Non credevo di avere una così profonda cultura casearia... Forse all’epoca mi espressi anche con troppa violenza, ma avevo ragione e mi dispiace.

La gente premia i governatori: Zaia, De Luca, Toti... C’è forse voglia di presidenzialismo?
C’è voglia di politici capaci di decidere e di garantire continuità. I cinesi dicono: "Voi dite dite, ma noi facciamo le cose". La crisi della democrazia sta in una crescente incapacità della politica di decidere. In Italia c’è un governo centrale sempre in crisi e di conseguenza le Regioni sono viste come un punto di riferimento. I cittadini riconoscono a chi le guida una capacità che non riconoscono a chi siede in Parlamento. Bisogna per questo dare forza al Parlamento e al governo centrale. Anche su questo si misurerà un’alleanza chiamata a risollevare il Paese».

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