martedì 27 luglio 2021
Al via la “missione” di legalità (sostenuta da Viminale e Ue) di 146 enti del Terzo settore per ricostruire il territorio. La ministra dell’Interno Lamorgese per la prima volta a Sessa Aurunca
La ministra Lamorgese indossa la maglietta dei “Partigiani del bene”

La ministra Lamorgese indossa la maglietta dei “Partigiani del bene” - .

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«I beni confiscati, la loro rigenerazione rappresentano la vittoria dello Stato. Su questo dobbiamo essere tutti uniti. Siamo la squadra dello Stato e della parte migliore della società civile». Ne è convinta la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese e lo dice proprio in un bene confiscato, a Maiano di Sessa Aurunca, gestito dalla cooperativa Al di là dei sogni, tra i fondatori dell’Nco, il Nuovo consorzio organizzato che prendendo in giro la criminalità organizzata copia la sigla Nco della Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo. L’occasione della presenza del ministro – la prima volta di un responsabile del Viminale, accompagnata dal capo di gabinetto, Bruno Frattasi, dal capo della Polizia, Lamberto Giannini e dal direttore dell’Agenzia per i beni confiscati, Bruno Corda – è la presentazione di un progetto in cui ritorna Nco, ma questa volta a significare Nuove comunità organizzate. È realizzato grazie al ministero dell’Interno e cofinanziato della Ue, nell’ambito del Pon 'Legalità'.

Ha come capofila il consorzio Nco, il Comitato don Peppe Diana e la cooperativa Terra Felix, e coinvolgerà 146 soggetti del Terzo settore che gestiscono beni confiscati in Campania, Puglia, Basilicata e Calabria, partendo proprio dall’esperienza casertana. «È un progetto per la rigenerazione dei beni confiscati partendo dalle nostre esperienze che mettiamo a disposizione – spiega il responsabile tecnico del progetto Tonino De Rosa –. Siamo stanchi di essere considerati solo dei bravi ragazzi che con coraggio gestiscono i beni tolti alle mafie. Ora serve passare davvero a fare impresa sociale». Un’esperienza che parte da queste terre «non più terre di gomorra o dei fuochi ma di don Peppe Diana – sottolinea con forza Alessandra Tommasino a nome del Comitato che porta il nome del parroco ucciso dalla camorra –. E questo grazie a quelle donne e quegli uomini che non si sono girati dall’altra parte e si sono rimboccati le maniche.

Vogliamo far ardere i fuochi della buona terra, convinti che una vera rinascita non può venire che dai luoghi rigenerati». Come quelli che difende Terra Felix, «per costruire un processo di sviluppo diverso, lavorando per rubare metri di azione agli ecocriminali – spiega Francesco Pasciale, presidente della cooperativa, nata dal circolo di Legambiente di Succivo –. Ma vogliamo allargare sempre più Terra Felix». Le buone pressi che si offrono agli altri. Partendo da un sogno. Come ricorda Simmaco Perillo, fondatore della Al di là dei sogni. «Abbiamo sognato di poter tornare nelle nostre terre, che questo territorio potesse essere soprattutto ricco di relazioni, che lo Stato fosse al fianco dei cittadini per riaprire i beni tolti alla camorra, e ricostruire un modello sociale e culturale alternativo alla camorra. Ora il sogno si è realizzato.

Abbiamo creato lavoro che dà dignità alle persone. Pensiamo che sia riproducibile altrove. Perché quando si sogna si finisce per creare realtà sognate». In questo ha creduto il Viminale, approvando l’importante progetto. E Lamorgese lo ha voluto confermare con la sua visita e le sue parole. «Oggi la presenza dello Stato vuol dire che c’è un impegno che stringiamo con voi. Vi seguiremo con attenzione. Perché non c’è libertà senza legalità. Se ci mettiamo insieme costruiamo un sentiero soprattutto per i giovani». Gli stessi che partecipano ai campi di lavoro estivi organizzati dalle cooperative.

Gli stessi che la Lamorgese incontra nel suo giro tra le attività della Al di là dei sogni, soffermandosi in particolare nel laboratorio, il primo realizzato in un bene confiscato, che trasforma e inscatola i prodotti della terra delle cooperative casertane e anche di altri territori. Perché la collaborazione è già partita da tempo. Il ministro si informa, chiede dei prodotti, di come sono realizzati. Si fa fotografare con la maglietta con la scritta “Partigiani del bene” e sulla schiena “Nessun luogo è maledetto e nessuna storia ha un finale già scritto”. Come questo bene confiscato che porta il nome di Alberto Varone, piccolo imprenditore ucciso proprio trenta anni fa, il 24 luglio 1991, per non aver voluto cedere la sua attività alla camorra. Dalla morte alla nuova vita, per questa terra e altre terre del Sud rigenerate dalle mafie.

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