mercoledì 8 agosto 2012
​Il Tribunale del Riesame non ha fatto rimuovere i sigilli imposti dal Gip ma ha concesso di continuare a produrre per realizzare le opere di bonifica ambientale. Ribaditi anche gli arresti domiciliari per il proprietario Emilio Riva.
I dati confermano: qui si vive meno che nel resto della Puglia
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L’Ilva di Taranto rimane sotto sequestro, ma non sarà spenta. Purchè i custodi giudiziari “garantiscano la sicurezza degli impianti e li utilizzino in funzione della realizzazione di tutte le misure tecniche necessarie per eliminare le situazioni di pericolo e della attuazione di un sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni inquinanti”. È quanto ha disposto ieri il Tribunale del Riesame di Taranto, chiamato ad esprimersi sulla vicenda inquinamento del siderurgico più grande d’Europa. Nelle due pagine di sentenza - attesissima in città e giunta prima del previsto - il collegio presieduto da Antonio Morello, ha confermato le ordinanze del Gip Patrizia Todisco, ma ha concesso l’uso dell’impianto per permettere le opere di ambientalizzazione. Confermati gli arresti domiciliari per il patron ottantaseienne Emilio Riva, il figlio Nicola, ex presidenti dell’azienda, e per Luigi Capogrosso, ex direttore dello stabilimento; libertà invece per gli altri cinque capoarea indagati. L’attuale presidente Bruno Ferrante è stato nominato curatore giudiziario con funzioni contabili, al posto del commercialista nominato dal Gip, e dovrà lavorare insieme agli ingegneri e tecnici già incaricati dell’eventuale spegnimento del complesso.«Sollievo» è stato espresso dall’arcivescovo di Taranto, Filippo Santoro. Il presule ha accolto con «favore» accoglie la decisione del tribunale del Riesame di Taranto. «Per la difesa del lavoro degno e per la difesa della salute e dell’ambiente abbiamo pregato e continueremo a pregare e ad agire», ha aggiunto l’arcivescovo. Che però non abbassa la guardia sul fronte ambiente e salute. «Credo di interpretare il sollievo dei tanti operai che hanno visto in pericolo il loro posto di lavoro» ma «la partita è ancora aperta e tutta da giocare» e serve «dialogo» nonostante il «terremoto», oltre a «iniziative concrete tese a dare risposte all’emergenza inquinamento, finalmente riconosciuta da tutti».Attende di leggere le motivazioni il procuratore di Taranto, Franco Sebastio, ma ritiene «sostanzialmente confermata la tesi accusatoria», perché «la finalità del provvedimento è fare i lavori, non è produrre e lavorare». La palla passa all’Ilva: «Se l’azienda, per mera ipotesi, dicesse “non intendiamo collaborare”, allora dopodomani si chiude». Possibilità scartata da Ferrante: il provvedimento, spiega l’ex prefetto di Milano, è «un segnale molto netto e preciso nei confronti della società», ma l’impianto «continuerà la sua produzione, così come sta facendo»; nonostante la «profonda, grande amarezza per le misure restrittive per tre persone che auspicavamo ottenessero la libertà». Un fatto provoca «grande dolore».«Se dicessi che sono soddisfatto – ha aggiunto Ferrante – direi una grossa bugia, ma non si parla più di chiusura e di interruzione dell’attività, si parla di utilizzo dell’impianto per la sicurezza e risanamento ambientale». Il numero uno dell’Ilva, prima della sentenza aveva annunciato uno stanziamento di 90 milioni di euro da parte dei Riva, destinati proprio alle bonifiche. Secondo l’ex prefetto, anche il ministro dell’ambiente Corrado Clini, si sarebbe detto disponibile «a cofinanziare in parte le iniziative dell’Ilva» se l’azienda avesse trovato «nuove tecnologie da applicare per diminuire l’impatto ambientale». Ma senza gravare sui 336 milioni di euro già stanziati. Quelle risorse, secondo Clini - che si è detto anche «soddisfatto» della sentenza del riesame - «sono finalizzate al risanamento ambientale dell’area di Taranto al di fuori dell’Ilva, come il quartiere Tamburi o spazi pubblici contaminati come il Mar Grande, Mar Piccolo e le aree portuali». Prescindendo, quindi, da cockerie, agglomerati, acciaierie, parchi minerali, altoforni e gestione rottami ferrosi, ancora sotto sequestro, che dovranno essere messi a norma dalla proprietà. Secondo gli step concordati nella cabina di regia in Regione. Ieri nuovo incontro a Bari tra il governatore Nichi Vendola, l’assessore all’ambiente Lorenzo Nicastro e il presidente Ilva, per «lavorare – ha spiegato Vendola – l’equilibrio tra impianti dell’Ilva e il diritto alla salute e all’ambiente».
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