Il questore Rosa Maria Iraci - Polizia di Stato
“E’ un provvedimento molto simbolico. E’ un omaggio alla memoria del giovane magistrato, beatificato domenica. Ed è importante perché lui aveva indagato sui due fratelli Maira, in particolare Antonio che proprio grazie alle sue inchieste venne condannato a più di 22 anni”. Così il questore di Agrigento, Maria Rosa Iraci, spiega il senso e l’importanza del sequestro da lei proposto.
Quella condanna è la dimostrazione della qualità di Livatino come magistrato.
La qualità di un magistrato che lavorava molto bene al punto da pagere con la vita questo suo impegno. Ricordiamo che gli “stiddari” volevano far vedere a “cosa nostra” quanto loro sapessero essere altrettanto bravi. E questo è uno dei motivi dell’uccisione del giudice. Fa venire i brividi…
Maira ha 70 anni. Non finiscono mai di essere mafiosi.
No, no. E noi stiamo facendo di tutto, mettendo in campo ogni sforzo, per cercare, scandagliare e analizzare i loro patrimoni. I mafiosi mettono in conto di andare in carcere, anzi più stanno in carcere e più salgono nel ruolo criminale. Ma il fatto di vuotare le loro tasche non lo sopportano.
Maira è stato a lungo in carcere e ci è anche tornato. Ma non è certo cambiato.
Esatto. Come ho detto più stanno in carcere e più il loro carisma aumenta. Tanti anni di lavoro ce lo fanno constatare tutti i giorni. Il fatto di scandagliare i soldi invece produce molto danno perché quando escono dal carcere non possono più godere dei beni illecitamente accumulati. E’ un principio di prevenzione generale, “stai attento perché i soldi te li prendiamo, e se esci di galera non te li puoi godere”. Bisogna andare a toccare i soldi dei mafiosi, come diceva sempre Falcone e come faceva Livatino.
Anche questa operazione conferma che Agrigento non è la periferia della mafia siciliana.
Altroché! La provincia si compone di 43 comuni e ci sono 42 famiglie mafiose. Ogni paese ha dunque un sindaco e un capomafia. E ci sono 7 mandamenti mafiosi. Pensi che Palermo ne ha dieci e Catania quattro. E’ una provincia che ha ancora in galera i responsabili sia dell’omicidio Livatino che del giudice Saetta, che sono tutti di Palma di Montechiaro dove ancora opera la cosca degli “stiddari” così come a Canicattì e a Camastra. E ha la stessa caratura di “cosa nostra”.
Mafia che ha grossi interessi economici e con legami con imprese e politica. Non sono solo degli assassini.
E’ proprio così.
Bisogna essere più bravi dei mafiosi…
Certo e soprattutto più veloci. Per dare una speranza ai cittadini. Il ragazzo che si affaccia all’organizzazione criminale deve pensare che, se non lo ammazzano, finirà in carcere e non si potrà godere i soldi. Per questo andiamo spesso nelle scuole a parlare coi ragazzi. Perché la cultura della legalità deve partire fin dalla prima infanzia. Ma c’è ancora molto da lavorare in questo territorio, manca il mondo di mezzo, il livello professionale e intellettuale che spesso non fa quello che dovrebbe fare. Non riesce ad alzare la testa.