Il capo dello Stato Sergio Mattarella - Ansa-Quirinale
Quando nel cuore del pomeriggio da Palazzo Chigi tornano a uscire parole come «al Senato ci mancano pochi responsabili» e «non temo le elezioni», anche ai piani alti del M5s restano perplessi. Forse strategia, forse una gara tra Conte e Renzi a chi mira più in alto per aumentare il proprio potere negoziale.
Sta di fatto che un percorso di massima sembrava definito domenica sera, e nella notte di ieri era di nuovo in panne. Nodo dei nodi, il percorso che deve portare al Conte-ter. Pressoché obbligato non solo per Italia Viva, ma anche, a quanto pare, per il Pd ed M5s. Il premier convoca i leader, sigla il patto politico e poi va al Colle comunicando la conclusione del suo secondo governo e la possibilità di iniziare la terza avventura, con una nuova squadra di ministri. Passaggio obbligato: le dimissioni, preludio di consultazioni-lampo che consentano di 'pilotare' la crisi verso un epilogo a prova di Aula. D’altra parte, è un percorso possibile, uno sbocco ciò che chiede Sergio Mattarella in queste ore.
Un percorso che deve venire dai leader e dai partiti, un percorso che lui non può e non vuole forzare e che però è pronto ad avallare, quando il frutto sarà maturo. Potrebbe volerci qualche giorno in più rispetto al previsto, e il segno positivo - forse l’unico di ieri - è che tutte le parti in causa hanno tolto di mezzo la scadenza fissa di domani. Si potrà andare oltre, si potranno accumulare altre ore di lavoro per un’intesa che, se realizzata, andrebbe ben oltre un 'rimpastino'. Le caselle che andavano per la maggiore ieri, come perno del Conte-ter, sono l’Interno - ora presidiato dalla prefetta 'tecnica' Luciana Lamorgese - e la Difesa. Al Viminale, si diceva quando il bollettino della crisi segnava 'sole', potrebbe andare l’attuale titolare della Difesa, Lorenzo Guerini, contribuendo alla soluzione del nodo Servizi. Al suo posto il renziano Ettore Rosato.
Ma i dicasteri che potrebbero entrare nel frullatore sono molti di più: il Pd da tempo ha nel mirino la ministra pentastellata del Lavoro Nunzia Catalfo, i renziani non passano giorno senza sparare a zero contro i Trasporti guidati dalla dem Paola De Micheli. E la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina (M5s), è costantemente sotto un fuoco incrociato. Una volta aperta la crisi formale l’esito del rimpasto è imprevedibile. Ma non è questo a far titubare Conte. È, piuttosto, l’ipotesi stessa di doversi dimettere per aprire il nuovo ciclo. E il dubbio che Renzi, a crisi aperta, non rispetti i patti e parta per la 'caccia grossa': scalzare lo stesso Conte da Palazzo Chigi. È il motivo per cui ieri il premier è tornato a evocare la conta al Senato, i 'responsabili', la prospettiva delle urne anticipate che però ormai Pd ed M5s hanno tolto dagli orizzonti.
Un clima di sospetti reciproci a fronte del quale Renzi mantiene però la calma serafica di chi pensa di avere meno da perdere: «Quando capiremo che il premier perde tempo, ritireremo le nostre ministre e a quel punto Conte dovrà guardare nascere un altro governo». Una luce nel tunnel della crisi potrebbe vedersi nel fine settimana. Il Conte-ter resta il punto di sintesi individuato da Pd e M5s. Se si superano i sospetti, potrebbe anche tornare in campo l’ipotesi dell’ingresso dei leader tra i ministri, compreso Renzi. Diversamente, si riaprono tutti gli scenari. Un nuovo esecutivo politico che vede Di Maio tra i papabili premier. O un esecutivo tecnico, istituzionale o di (semi)unità nazionale su cui si staglia l’ombra di Draghi (ma non solo).