Il soccorso nel Mediterraneo centrale, nei giorni scorsi, della nave ong Geo Barents di Medici senza frontiere - ANSA
Ennesima tragedia del mare: almeno 40 persone hanno perso la vita o risultano disperse nell’ultimo naufragio avvenuto oggi davanti alle coste della Tunisia. Tredici corpi di migranti sono stati recuperati dalla Guardia costiera tunisina nelle acque davanti Chebba, a sud di Monastir. Sono invece 27 i dispersi, due soltanto le persone che si sono salvate e che sono state soccorse durante l’operazione. L’imbarcazione trasportava in tutto 42 migranti sudanesi. Il naufragio è avvenuto a 9 miglia di Chebba.
Intanto l’autorità giudiziaria tunisina ha aperto un’indagine sulla tragedia che ha portato al ritrovamento finora di 13 corpi di migranti sudanesi. Lo ha dichiarato il portavoce dei Tribunali di Monastir e Mahdia, Farid Ben Jha, precisando che a bordo dell’imbarcazione, probabilmente in ferro - secondo il racconto di due sopravvissuti - c’erano 42 migranti sudanesi. Secondo Ben Jha, i migranti erano in possesso di una carta di asilo dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr). Secondo la stessa fonte proseguono le operazioni di ricerca per salvare i dispersi o recuperare altri corpi.
«I sudanesi hanno la carta d’asilo dell’Unhcr, un riconoscimento che poteva proteggerli dal rischio deportazione e carcerazione – fa sapere Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) – ma sappiamo che in Tunisia non esiste una legge sull’asilo. Probabilmente le vittime del naufragio erano in Tunisia da anni oppure ci erano arrivati attraverso la rotta migratoria evitando la Libia». «Fino a ieri erano 126 i migranti morti in tutto il Mediterraneo quest’anno, 33 in più dello stesso periodo dell’anno scorso», conclude Di Giacomo.
Proseguono comunque i viaggi della speranza verso l’Europa. Dopo una tregua di appena 24 ore (dovuta perlopiù dal maltempo) sono ripresi gli sbarchi a Lampedusa. Una lancia di 12 metri, salpata da Sabrath, in Libia con 105 migranti a bordo, è stata intercettati dai militari della Guardia di finanza. Il gruppo - composto da persone originarie di Marocco, Siria, Egitto, Eritrea, Bangladesh, Pakistan, Ghana e Sudan - ha riferito d’esser partito la scorsa notte e d’aver pagato 5mila dollari a testa o 3mila euro, a seconda della nazionalità. Il barcone è stato sequestrato.
Sono state invece intercettate dalla Guardia costiera tunisina e trasferite nel Paese maghrebino le 105 persone che si trovavano a bordo di una barca in pericolo e di cui non si avevano più notizie da oltre 24 ore. A confermare il trasferimento in Tunisia è la stessa Alarm Phone che aveva lanciato l’allarme del barcone due giorni fa.
Eppoi ci sono le navi delle Organizzazioni umanitarie che soccorrono i migranti in mare. In questo momento due: la Ocean Viking di Sos Mediterranee e la Geo Barents di medici senza frontiere. La prima si sta dirigendo verso Brindisi, e non più ad Ortona (Chieti), con a bordo 261 migranti soccorsi in diverse operazioni in acque internazionali al largo della Libia. Tra le persone recuperate ci sono 16 donne (4 incinte) e 67 minori non accompagnati. L’arrivo a Brindisi è previsto stamattina alle 9 circa, compatibilmente con le condizioni del mare.
È invece previsto sabato mattina intorno alle 7 lo sbarco a Ravenna della nave Geo Barents di Medici senza Frontiere con 134 migranti a bordo. Si tratta di 87 uomini, 13 donne, 34 minori di cui 15 non accompagnati provenienti da Siria, Pakistan, Bangladesh, Marocco, Palestina, Egitto, Etiopia ed Eritrea. Fra loro, 70 resteranno in Emilia-Romagna mentre 64 saranno trasferiti con pullman in Lazio. Per l’ottava volta Ravenna si prepara così ad accogliere la nave Ong , ma non senza un rincaro di polemiche. «Il Comune di Ravenna, in stretto raccordo con la Prefettura e con lo straordinario supporto di tutta la comunità, come sempre farà la propria parte con umanità e senso di responsabilità. Ci colpisce invece, l’atteggiamento del governo che continua a scegliere approdi del centro nord allungando ulteriormente il calvario di donne, uomini, bambini e minori già allo stremo delle forze – commenta il sindaco di Ravenna, Michele De Pascale – Una scelta disumana, dichiaratamente finalizzata a tenere le navi umanitarie lontane dalle zone Sar impedendogli di salvare vite umane».
Il Sit-in contro i Cpr organizzato sotto la prefettura di Bologna - Fotogramma
E sempre dall’Emilia Romagna si accende la protesta delle associazioni contro i Cpr, i centri per i rimpatri che il governo Meloni intende realizzazre in ogni Regione d’Italia, alla luce anche di quanto accaduto pochi giorni fa con il suicidio di un giovane nel centro di Ponte Galeria. “No ai Cpr in Emilia-Romagna” chiedono, davanti alla Prefettura di Bologna dove si sono radunate per un sit-in di protesta, tante realtà tra cui sindacati, associazioni, centri sociali e l’Ong Mediterranea. «Quello di Ousmane Sylla era un suicidio annunciato, il quattordicesimo avvenuto in un Cpr negli ultimi cinque anni - denuncia Damiano Borin di Ya Basta -. Sul territorio nazionale tre strutture su 10 sono attualmente sotto indagine per violazione dei diritti umani. Abbiamo mandato una lettera al prefetto chiedendo un incontro». La mobilitazione contro i Cpr si è svolta in tutta la regione e in diverse città d’Italia. I manifestanti chiedono la chiusura dei Cpr e l’abbandono del progetto del governo di aprirne altri, come quello previsto a Ferrara.