«Ma che
roba è?». Matteo Renzi mette piedi a Palazzo Chigi dopo la trasferta a Bruxelles e trova davanti agli occhi un fiume di emendamentimancia alla legge di stabilità. Soldi a pioggia della più varia natura e maternità politica. Il premier li scorre quasi incredulo: le assunzioni al Parco del Gran Paradiso, i danari per la statale Telesina nel beneventano, una bonifica affidata per via diretta ad una società privata... Il problema è che tutto questo è stato concordato in commissione Bilancio al Senato, dunque è figlio di un accordo politico. «Niente da fare, questa
roba deve uscire dalla legge di stabilità», ordina il presidente del Consiglio. Una decisione che è l’inizio della bagarre. Vengono espulse dall’ultima versione del maxiemendamento almento venti norme, con una battaglia furiosa nel retrobottega per salvare il salvabile e per scontentare in egual misura tutti i partiti di maggioranza e tutte le correnti. Renzi la spiega così, la sforbiciata: «Ma come, torno da Bruxelles, torno da un Consiglio Ue dove facciamo un altro passo verso la flessibilità, e mostriamo all’Europa che buttiamo 2 milioni qua, 300mila euro là...». In un anno in cui l’Italia già si pone oltre i limiti consentiti del deficit, si tratta di un errore da non commettere. «Le regole le voglio cambiare, non infrangere», spiega il premier in un’intervista a Radio 105. Sulla convulsa giornata del Senato hanno giocato tanti elementi. I tempi strettissimi, la necessità di mandare il testo alla Camera in fretta non ha consentito alla commissione Bilancio di arrivare a discutere tutto, lasciando alcuni temi aperti. Poi c’è il fatto che il premier ha potuto metterci la testa solo ieri mattina. Sulle scelte finali di Renzi e Padoan l’ira per gli 'accordicchi' parlamentari è andata di pari passo con la consapevolezza che la legge di stabilità doveva mantenere una sua coerenza organica, altrimenti il Colle - sì in procinto di dimissioni ma vigile sino in fondo - potrebbe storcere il naso. Che sia stata una giornata di tensioni tra Palazzo Chigi e Senato lo si capisce dai toni con cui Renzi si esprime nell’intervista radiofonica: «Troppe fiducie? Garantisco che aumenteranno in futuro». Parole che già esprimevano l’ira verso i parlamentari. La stessa determinazione nell’eliminare venti emendamenti disorganici zeppi di soldi poco giustificabili non è stata messa in campo dal governo sul gioco d’azzardo. Alla fine infatti passa il condono dei centri-scommesse illegali, quelli connessi ad operatori esteri e dunque non collegati alla rete dei Monopoli. Con 10mila euro ci si mette in regola fino al 2016. Una decisione che premia 6.500 esercizi commerciali che lavorano in nero o che non hanno il gioco come attività principale, ma che semplicemente piazzano un pc e consentono agli utenti di scommettere on line. In compenso, il governo chiede ai concessionari di mettere 500 milioni 'una tantum' come contributo alle casse dello Stato. Decisioni che provocano la reazione dei Cinque Stelle, che denunciano la presenza di lobbisti dinanzi alle porte della commissione Bilancio. giorno. Questa mossa ha un solo fine: consentirà di discutere e votare l’Italicum sin dalla ripresa di gennaio, mantenendo ancora aperta la possibilità di chiudere l’esame entro la fine del primo mese del 2015, prima di entrare nel vortice dell’elezione del nuovo capo dello Stato. I giorni da qui alla discussione in Aula saranno utile per trovare la quadra sulla clausola di salvaguardia dell’Italicum - ovvero la sua data di entrata in vigore - e altri temi scottanti come il rapporto tra seggi bloccati e preferenze.