Marcinelle come il Mediterraneo. La miniera e il mare come tomba per i migranti di ieri e per quelli di oggi. Ieri erano gli italiani a partire. Gente del sud, prevalentemente, in fuga dalla povertà, in cerca di una nuova speranza, braccia per garantire carbone belga all’Italia della ricostruzione. Oggi sono africani e asiatici, sud del mondo. Cambiano le provenienze, ma non le dinamiche e le motivazioni. «Fummo emigranti, ricordiamolo quando arrivano », dice saggiamente il ministro degli Esteri Moavero.
E ricordare vuol dire riflettere sul passato, e di conseguenza sul presente, evocando sofferenza e sfruttamento. Ieri e oggi. Ieri come oggi. Ieri le case dei nostri minatori erano le baracche dei prigionieri di guerra. Più o meno come oggi i tuguri dei braccianti dalla pelle nera. Altro che alberghi e ristoranti pagati, come sostengono i capigruppo della Lega.
Da Marcinelle a Foggia c’è invece un filo che lega l’umanità che emigra.
Un filo che cancella le differenze e unisce nel dolore. E c’è anche un filo che lega i pregiudizi che l’accompagnano. Per spezzarlo c’è solo un modo: rispettare la dignità dei lavoratori e quindi del lavoro. Ieri nelle miniere belghe ciò non è avvenuto. Oggi in troppi campi italiani continua a non avvenire. Il risultato, tragico, purtroppo è lo stesso.