Salvataggio da parte dei volontari di una ong nel Mediterraneo - .
La prima organizzazione a rompere gli indugi è stata Medici senza frontiere. «Siamo pronti a salpare domani (sabato 31, ndr) da Augusta per tornare a navigare nel Mediterraneo con la Geo Barents» ha detto l’Ong, nelle parole del capomissione Juan Matias Gil. «Salvare vite umane è il nostro imperativo» mentre «la strategia del governo ha l’obiettivo di ostacolare le attività di ricerca e soccorso». Il giorno dopo, il decreto Piantedosi ha provocato ribellioni e proteste nel mondo della società civile. Tutto come da attese, peraltro. Lo stop ai soccorsi plurimi, il divieto di trasbordo e la richiesta d’asilo a bordo sono punti inaccettabili per chi fa salvataggi in mare. Così, dopo Msf, è stata Sea Eye a contestare il provvedimento. «Non seguiremo alcun codice di condotta illegale o qualsiasi altra direttiva ufficiale che violi il diritto internazionale o le leggi del nostro Stato di bandiera, nel nostro caso la Germania. Rifiutiamo questo cosiddetto codice e ci aspettiamo che il governo tedesco ci protegga» ha affermato Annika Fischer, membro del consiglio di amministrazione dell’organizzazione. E già si invoca, da più parti, la “disobbedienza civile”.
«Credo che questo decreto cadrà presto, nel senso che è costruito sul nulla, costruito soprattutto su un segnale di insicurezza che in realtà è fasullo». Le parole di monsignor Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, presidente della Fondazione Migrantes e della Commissione Cei per le Migrazioni, danno voce al disagio della Chiesa e della società civile, di fronte a un provvedimento che divide l’opinione pubblica e rende in ogni caso più difficili le operazioni in mare per chi vuole salvare vite. Già in mattinata era toccato alle organizzazioni impegnate nei soccorsi dei profughi stigmatizzare quanto è stato approvato mercoledì dal Consiglio dei ministri.
«Perché fermare le navi umanitarie?» si è chiesto Veronica Alfonsi, portavoce di Open Arms. «Il punto è che la flotta civile rappresenta un problema che va ben oltre le operazioni di soccorso che opera. Noi siamo testimoni inconfutabili delle violazioni dei diritti» compiute in mare, con la complicità dell’Europa.
Per Emergency, semplicemente, «il decreto sicurezza riduce drasticamente le possibilità di salvare vite in mare, limitando l’operatività delle navi umanitarie e moltiplicando i costi dei soccorsi per tutte le Ong in mare». Sotto accusa, come evidenziato peraltro da tempo, c’è l’impossibilità di fare più di un soccorso, qualora si rendesse necessario. Il risultato? «L’aumento di morti in mare e dei respingimenti verso la Libia». Quanto al dovere di salvare vite in pericolo, prescritto dalle regole del mare, il timore della società civile è che, applicando quanto viene previsto dall’esecutivo, si possa incorrere in violazioni del diritto internazionale.
Da ultimo, per quanto riguarda la controversa richiesta di raccogliere a bordo le indicazioni dei migranti sul Paese in cui fare domanda d’asilo, sono le linee guida dell’Organizzazione Internazionale Marittima a fare chiarezza: qualsiasi attività al di fuori della ricerca e salvataggio deve essere gestita «sulla terraferma dalle autorità competenti e non dallo staff delle navi umanitarie» sottolinea ancora Emergency. Resta poi il problema principale: una volta attuato il giro di vite contro le Ong, come si pensa di presidiare il Mediterraneo? È quello che chiede lo stesso Perego, quando dice che «mi sarei aspettato, a fronte eventualmente di una regolamentazione delle azioni delle Ong che di fatto limitano il salvataggio delle persone, che ci fosse un impegno italiano ed europeo per proprie navi di salvataggio di persone che continueranno a fuggire da situazioni disperate». Non si vede nulla di questo, all’orizzonte, al contrario sono fissate sanzioni e multe che fungono da monito per le organizzazioni.
Che il provvedimento sia destinato a far discutere anche i territori, lo dimostra infine la reazione di uno dei sindaci in prima linea nella primissima accoglienza, quella dei migranti appena sbarcati in Sicilia. Secondo Roberto Ammatuna, primo cittadino di Pozzallo, località che è snodo cruciale negli arrivi grazie all’hotspot, siamo di fronte a «una delle pagine più nere della Repubblica. Questo decreto è incivile e disumano. La vita è dono grande e prezioso, viene prima di ogni altra cosa».