sabato 6 maggio 2023
Quindici giorni prima di vincere lo scudetto, Luciano Spalletti, allenatore del Napoli, decise di andare a far visita a un amico: don Luigi Merola, il “parroco anticamorra"...
Don Luigi Merola con l'allenatore del Napoli, Luciano Spalletti

Don Luigi Merola con l'allenatore del Napoli, Luciano Spalletti - Collaboratori

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Quindici giorni prima di vincere lo scudetto, Luciano Spalletti, allenatore del Napoli dei miracoli, decise di andare a far visita a un amico: era don Luigi Merola, il “parroco anticamorra”. Incontrò i bambini, li prese in braccio. Dispensò sorrisi a tutti e parlò con questo sacerdote. «Ci ha regalato tutti i soldi ricevuti con la vittoria del Premio Bearzot, grazie ai quali potremo portare avanti i nostri progetti» racconta adesso don Luigi.

Si tratta solo di un piccolo dettaglio, dentro l’infinita festa che Napoli ha lanciato da giorni (ufficialmente giovedì sera, dopo la vittoria del titolo grazie all’1-1 con l’Udinese) e che durerà per oltre un mese, forse tutta l’estate. Ma è un dettaglio importante per capire il legame che c’è tra la squadra e la città: un legame fatto di incontri, tifo a volte esagerato, passione. E attenzione, come ha dimostrato Spalletti, al contesto sociale che gira intorno al calcio, a partire dalle periferie.

Il terzo scudetto del Napoli è stato lo scudetto della squadra, dell’organizzazione, della programmazione. Dal ventre di Napoli si è alzato, in queste prime ore di reazioni, un coro unanime che scandisce una chiara separazione fra l’epopea maradoniana e la nuova era. Il primo a chiarirlo è stato proprio il sindaco, Gaetano Manfredi, che da rettore dell’Università Federico II portò qui la prima academy europea della Apple: «Parlare di riscatto sociale – ha chiarito Manfredi – è una sciocchezza. Napoli non si deve riscattare da niente. È una città che ha grandi capacità, che ha vinto e che vincerà in futuro».

E così è volato via anche il mito dello scudetto come risarcimento per le sconfitte subite negli altri campi. Si può partire benissimo dal tema della legalità. Nel quartiere di Forcella, don Luigi si è opposto alla camorra in diverse occasioni. Lo fece, in particolare, ai funerali di Annalisa Durante, ammazzata a 14 anni da un killer mentre passeggiava nel luogo in cui era in corso un agguato.

Nonostante le minacce di morte ricevute, don Merola fece smantellare le telecamere piazzate nel quartiere dai camorristi e consegnò al questore una videocassetta che documentava lo spaccio di droga nella zona. In seguito creò la fondazione “’A voce d’’e creature” per il recupero dei ragazzi che hanno abbandonato la scuola, di cui è tuttora presidente. «Il calcio – sostiene il sacerdote – è da sempre un alleato per chi cerca di togliere i ragazzi dalla strada. Così è stato anche per me in tutti questi anni.

Il pallone fa miracoli: ha unito Curva B e Curva A, notoriamente in lotta fra loro. Lo scudetto vinto dal Napoli può fare tanto per i giovani napoletani, perché dà loro il messaggio opposto a quello che ricevono dalla camorra. Solo con lo spirito di sacrificio e di squadra e con la programmazione si ottengono i risultati. Non con le scorciatoie o con le raccomandazioni. Nemmeno nel giorno dello scudetto la camorra ha avuto un sussulto di dignità, ed è riuscita a sporcare la festa di tutta la città con l’omicidio avvenuto nel corso dei festeggiamenti. Eppure sono convinto che questa città ha la capacità per guarire dalle sue ferite».

Nel viaggio tra i vicoli di questa grande città, ci si imbatte anche in firme prestigiose della moda e del made in Italy, come Maurizio Marinella, noto come il “re delle cravatte”, a capo di un’azienda sartoriale con base a Napoli. Le sue cravatte sono vendute in tutto il mondo.

«Ho vissuto anche gli altri scudetti – racconta l’imprenditore –, ma questo ha un sapore particolare. All’epoca tutto ruotava intorno a un solo uomo: Maradona. Ora invece abbiamo una squadra e un progetto di cui tutta la città si sente parte. Napoli sta vivendo un bel momento storico: lo scudetto è stato solo la ciliegina sulla torta, la punta dell’iceberg. Questa città sta emozionando il mondo intero grazie alla sua bellezza, e la stampa internazionale se ne occupa sempre più. Anche quartieri etichettati come malfamati – penso al Rione Sanità e ai Quartieri spagnoli – sono pienamente coinvolti in questa ondata di turismo internazionale che coinvolge la città». Ma c’è un nuovo elemento da guardare con favore, secondo il “re delle cravatte”.

«A Napoli – rimarca Marinella – finalmente si è cominciato da un po’ a parlare di organizzazione e di programmazione: parole un tempo sconosciute da queste parti. Ma si tratta di parole indispensabili in un mondo che cambia, e più che necessarie per essere all’altezza della storia della città, che la vedeva fino a poco tempo fra le tre grandi capitali europee. Ecco, Napoli è una città che si sta finalmente organizzando».

Rosario Esposito La Rossa, è scrittore, editore, ma soprattutto, come ama definirsi, “spacciatore di libri” nel quartiere di Scampia, dove combatte la camorra e il “mito” di Gomorra a colpi di iniziative legate alla lettura. «Ho visto la partita in libreria con i nostri scugnizzi – racconta –. Questa vittoria ci libera anzitutto da un complesso di inferiorità, dà un segnale forte a chi vive nelle periferie, anche perché questo scudetto lo abbiamo stravinto, non vinto. E può essere di grande esempio per i nostri ragazzi: un gruppo di perfetti sconosciuti, provenienti da Paesi senza tradizione calcistica, arriva a vincere il campionato italiano. C’è un fattore di identificazione fra chi vive a Scampia o in altri quartieri di Napoli e i calciatori. La vera forza di questa squadra è stata proprio il gruppo: questo è il messaggio che questo scudetto regala alla città e ai giovani napoletani. In passato, questa città ha sempre cercato di nascondersi dietro a un Masaniello. Ebbene, ora sappiamo che i risultati arrivano proprio quando Masaniello non c’è».


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