Un vero stress-test per il premier Mario Draghi nei prossimi 20 giorni - Ansa
La premessa è che tutto potrebbe essere diverso fra venti giorni. Più o meno come ogni fine d’anno, il governo e il presidente del Consiglio che lo guida sono chiamati a un "tour de force" d’impegni per le inevitabili scadenze che si concentrano in pochi giorni. Quest’anno, per di più, questa sorta di stress-test che attende Mario Draghi e la sua squadra ha un sapore diverso, perché si innesta sulla "grande attesa" che circonda queste settimane e che ci introdurrà direttamente in un 2022 aperto, a gennaio, dalla convocazione dei 1.008 "grandi elettori" per eleggere il prossimo presidente della Repubblica.
E il nome sulla bocca di tutti, per ambedue le poltrone - capo del governo e dello Stato - è sempre lui: Draghi, entrato a Palazzo Chigi 10 mesi esatti fa. Le partite da portare a casa - quelle che illustriamo in queste due pagine - sono tutte importanti. E la loro chiusura positiva non farà che accrescere l’autorevolezza di "superMario", finora rimasto rigorosamente in silenzio sul tema. E chiamato a fare i conti anche con un effetto collaterale della pandemia che potrebbe influenzare la corsa al Quirinale: la proroga dello stato d’emergenza, in scadenza a fine anno. In particolare, sono la manovra da oltre 30 miliardi (col primo abbozzo di taglio delle tasse) e la prima annualità del Pnrr, il Piano europeo, coi suoi 51 impegni da centrare, le cartine da tornasole per il premier-banchiere, abituato a essere chiamato a ruoli-chiave per la vita del Paese in momenti difficili.
Il nodo dello stato d’emergenza è presto detto: una situazione sanitaria ancora grave il 31 dicembre, tale da giustificare una proroga di questa condizione in vigore ormai da marzo del 2020 sul territorio nazionale, potrebbe rendere più difficile l’ascesa al Colle di Draghi. «Con quale spirito un premier che rinnovasse lo stato d’emergenza del Paese solo una ventina di giorni dopo potrebbe poi lasciare il governo?», è l’interrogativo che gira già da diversi giorni in Parlamento. Un ragionamento che ha un suo margine di validità, tant’è che già circola un’ipotesi alternativa: un decreto legge ad hoc per mantenere la struttura commissariale del generale Figliuolo e il Cts, anche senza rinnovare lo stato emergenziale.
La marcia di Draghi verso il Quirinale, in ogni caso, è tutt’altro che scontata. Sempre forti sono le pressioni per farlo rimanere a Palazzo Chigi, anche per sviluppare ancora meglio il Pnrr, almeno fino alle elezioni, per ora fissate nella primavera 2023. Ha poi la sua importanza l’articolo uscito giorni fa sul Financial Times (megafono di quei mercati finanziari alla cui voce Draghi è sempre sensibile), che ha ipotizzato un "rischio instabilità" per l’Italia nel caso di un trasloco al Quirinale nel pieno della transizione europea che, con l’avvento del semestre di presidenza francese, necessita dell’apporto anche di Draghi nella Ue orfana della Merkel.
Anche le date hanno la loro importanza, in questo complesso gioco a incastri che passerà anche per un probabile incontro fra Draghi e Mattarella, una volta approvata la manovra. Qui la novità degli ultimi giorni sta nel probabile spostamento di una settimana, da martedì 18 gennaio al 24 o 26 del mese, della convocazione delle Camere per l’elezione del capo dello Stato. Si procederebbe con una sola votazione al giorno, in modo così da avvicinare il più possibile il 3 febbraio, che è il giorno in cui Mattarella scadrà dall’incarico. Riducendo così anche i problemi giuridici nel caso - e sarebbe la prima volta - il capo del governo diventasse presidente della Repubblica.