Il clima di che tiene sotto scacco la Camera da 48 ore è «frutto delle condizioni psicologiche di frustrazione di chi, giunto in Parlamento con l’obiettivo di cambiare tutto, non è riuscito a cambiare niente». Luciano Violante, nel suo studio in largo di Torre Argentina, compulsa vecchi testi di politica con l’occhio alla tv sui lavori di Montecitorio. Con un po’ di fatica trova quel che cercava: «Vede? Questa è la richiesta di
impeachment per Cossiga. Io ne scrissi la bozza. E questa invece è la norma che legittima la 'ghigliottina', introdotta dalla Camera sotto la mia presidenza ».
Ma non l’applicò mai. Bastò minacciarlo, Lega e Forza Italia rinunciarono. Capirono che si sarebbe creato un grave precedente. Quella norma era stata concepita per porre rimedio al fatto che per i decreti legge il regolamento della Camera non consente di contingentare i tempi, cosicché l’ostruzionismo può puntare a far saltare la conversione in legge. Fu inserita «in via transitoria» sul presupposto che si intervenisse al più presto con le riforme, il che avrebbe ridotto la decretazione d’urgenza. Invece...
Stavolta la minaccia non è bastata. Qui siamo di fronte a un’ escalation di toni ed iniziative dirette a impedire agli altri deputati di partecipare ai lavori della Camera. Quel che sta accadendo non ha precedenti, neppure andando indietro alle leggi eccezionali di Bava Beccaris nel 1898, o al 1953, alle proteste in aula per la cosiddetta 'legge truffa'. Qui stiamo andando oltre, siamo a un clima micro-insurrezionale. È arrivato anche per il M5S l’ora di porsi degli interrogativi.
Che cosa direbbe a Grillo? Dubito che seguirebbe i miei consigli. La loro è una reazione a un senso di impotenza che fa già registrare molte voci critiche all’interno del suo partito, e crea una situazione di difficoltà resa palese dalla mancata presentazione delle loro liste in Sardegna. Ai deputati di M5S direi di riflettere bene.
Che cosa possono fare di più, dar fuoco al Parlamento? Perché, se la situazione sfugge di mano non riusciranno a controllarla neanche i capi. Sono rammaricato, mi creda. M5S poteva svolgere un ruolo fondamentale in questa crisi delle istituzioni, ma rinunciando a confrontarsi si è chiuso in un ghetto dal quale non sa come uscire. Inoltre c’è chi è più nuovo, giovane e dinamico, Matteo Renzi è anch’egli innovatore ma a differenza di Grillo si è posto il problema di uno sbocco costruttivo, condannandolo ancor più a una sterilità politica che oggi produce forme di antagonismo violento. È capitato anche a me di fare opposizione senza strategia e conosco il senso d’inutilità che prende in questi casi, ma non abbiamo mai ceduto a comportamenti eversivi.
Ora ci provano con la messa in stato di accusa di Napolitano. È solo l’ennesimo tentativo, privo di effetti concreti. Il capo dello Stato nel nostro ordinamento è il risolutore delle crisi politiche. Questo spiega perché dalla presidenza Scalfaro in poi, dopo la crisi della Prima Repubblica, il ruolo si è fortemente sviluppato.
Anche lei però chiese l’impeachment per Cossiga. Non voglio dire che quelle 20 pagine erano tutte acqua benedetta, ma certo non era una richiesta palesemente infondata e cervellotica come questa. Accusano Napolitano di promulgare leggi incostituzionali, di soffocare le opposizioni, e di tacere sulla presunta trattativa Stato-mafia. Se si dovessero mettere in stato d’accusa tutti i presidenti che hanno promulgato leggi poi sottoposte a rilievi della Consulta non si salverebbe nessuno. Le ragioni delle opposizioni poi sono una tema che riguarda i presidenti delle Camere. Su Stato-mafia è una bolla di sapone, come ha dimostrato l’assoluzione del generale Mori.
E Cossiga, invece? Quella era una questione molto seria, ricordo i contrasti con la magistratura, l’evocazione di Gladio come struttura segreta armata, l’appello ai Carabinieri per difenderlo.
Gli diede del Vishinsky evocando le 'purghe' staliniane. Ma quando sostenni in aula l’accusa contro di lui sul caso di Marco Donat Cattin aveva apprezzato il mio comportamento, tanto che poi diventammo amici. Mi svegliava alle 5 del mattino per fare colazione insieme. Poi, dopo quella vicenda del 1991, facemmo in tempo a tornare in ottimi rapporti.
La legge elettorale può consentire di uscire da questo stallo? Il processo che si è aperto è molto positivo e può aprire la strada a una stagione di riforme. Ma occorre fare passi avanti.
Vede profili di incostituzionalità? La legge va approvata. Ma ci sono quattro aspetti da approfondire. Il rischio che il premio di maggioranza possa raddoppiare i voti al partito maggiore se gli alleati non superano la soglia. Il rischio che partiti non apparentati non trovino sbocchi in Parlamento anche con oltre 3 milioni di voti. E poi la mancata possibilità di selezionare gli eletti, con la preferenza o con collegi uninominali. Infine non è garantita in concreto la parità di genere.
Vede ancora spazi per modifiche? Il combinato disposto di queste debolezze può creare rischi di costituzionalità, ma soprattutto alimentare il senso di distacco dei cittadini. L’accordo sembrava blindato, ma Renzi e Berlusconi hanno mostrato di essere prudenti. Ora serve un altro piccolo sforzo.