«È una bufala, quindi è tutto falso, oppure è una bufala degli haters?». Come distinguere il vero dal falso sul Web al tempo degli 'odiatori' a tempo pieno? Coloro che da tempo orchestrano campagne contro le Ong, i migranti e l’accoglienza, cercando di veicolare una visione distorta del fenomeno delle migrazioni, spesso finalizzata a sostenere una precisa parte politica e le sue battaglie. L’immigrazione, specie sulla Rete, è un tema sempre incandescente. Il clima di diffidenza, sospetto, fino ai toni forcaioli contro le Organizzazioni non governative non è una novità.
Negli ultimi due anni ai soccorritori del mare come agli operatori delle Nazioni Unite non sono state risparmiate bufale, manipolazioni, notizie artefatte, al solo scopo di screditare chiunque intenda difendere i diritti umani. Ci si può quindi chiedere: chi ha creato la fake news sui 'falsi' filmati delle torture a profughi e migranti di cui ha parlato 'Avvenire' lo scorso martedì? Dopo la polemica che ne è nata, con accuse al limite della calunnia, se lo sono domandati in molti. David Puente, noto cacciatore di 'bufale' in Italia, è stato tra i primi. Le sue 'inchieste' circolano molto, e martedì sera un precipitoso Matteo Salvini aveva rilanciato il rimprovero che (giustamente) Puente ci aveva rivolto per non avere corretto in tempo la didascalia di un paio di foto di repertorio a corredo del pezzo nel quale raccontavamo i veri filmati sulle persone straniere (assai numerosi per la verità) vessate in Libia dai trafficanti di uomini e donne, non di rado fino alla morte. Il blogger, però, non aveva mai parlato di 'fake news'.
Alcune ore dopo lo stesso Puente, che si è reso disponibile a visionare i tanti video su cui indaga la magistratura, con un approfondito “debunking” (la pratica con cui si svelano le notizie false e i loro mandanti) ha smascherato gli autori degli attacchi ad “Avvenire”. Ma non c’è solo il cacciatore di fake.
A causa delle fotografie «scorrettamente attribuite, diversi siti e account social della Lega o di suoi sostenitori hanno sostenuto che i video fossero falsi», scrive “il Post”, la testata diretta da Luca Sofri, che precisa: «Anche questa conclusione – si legge nel pezzo di Davide Maria De Luca – però è sbagliata e a sua volta falsa». Ma cosa è successo, allora? Contro “Avvenire” è stata schierata l’artiglieria dei propalatori di fake news. Come prevedibile, i principali motori di notizie false o ambigue hanno cominciato a cavalcare l’emotività suscitata dall’articolo nel quale raccontavamo i contenuti dei filmati.
Notizie dirompenti (ma non inedite, considerato che “Avvenire” ne scrive da anni) che inchiodano chi al contrario sostiene che la Libia sia un “porto sicuro”. Non è un caso che il leit motiv della stampa vicina all’ultradestra e ai neofascisti di Casapound e di altre sigle, oltre al solito lessico da squadraccia, alla fin fine voglia far passare un’idea precisa: anche ammettendo che vi siano filmati sulla Libia, «non sono rappresentativi della situazione attuale». Una deriva denunciata anche dal blog anti-bufale 'Butac', che mette in guardia i lettori dal rischio di «smentire la singola foto» per «portare avanti la narrazione che piace a chi vuole credere che in Libia i prigionieri siano trattati bene, mentre invece basta cercare fonti attendibili per verificare che non è affatto così». Perciò dare a intendere «che tutto quanto ci viene raccontato dai giornali sia una bugia è avvelenare il pozzo».
Non è la prima volta che si scatena una campagna che partendo da un dettaglio intende nascondere la verità dentro al polverone delle polemiche. E non sarà neanche l’ultima. «In questo momento bollare tutto come una “fake news” per l’uso scorretto di due sole foto è forzato e al momento privo di fondamento», insiste Puente.
Semmai il punto è: chi ha agitato le acque contro “Avvenire”? «In merito alle immagini, c’è chi ha voluto aggiungere al minestrone indigesto delle foto anche quelle che non erano state pubblicate da “Avvenire” – rivela Puente – rischiando di far confusione ai lettori». Il blogger segnala un tweet in particolare, «in questo caso quello di Francesca Totolo (colei che parlava dello smalto sulle unghie di Josepha, la migrante attorno a cui venne gettato il sospetto di un salvataggio 'anomalo'). Altri, per corroborare la tesi del complotto degli “immigrazionisti” e dei “buonisti”, arrivano a citare un sito americano, senza aver capito cosa davvero “Snopes”, che raccoglie gli interventi di vari “verificatori”, avesse scritto. Puente chiarisce: «L’articolo di Snopes tratta le due foto pubblicate poi da “Avvenire”, ma per nessuna delle due fa riferimento alla Costa d’Avorio o alla Libia nel 2011».
Infatti circa le immagini da noi pubblicate perfino uno dei nostri più noti detrattori twittaroli, l’utente anonimo “James the Bond” a cui attingono molti degli gli odiatori da tastiera, pur non lesinando tweet al veleno riconosce: «Non si può escludere che questa foto pubblicata su “Avvenire” sia stata fatta in Libia». Matteo Salvini aveva prontamente rilanciato il primo “debunking” di Puente. Ma a distanza di due giorni sul suo profilo il ministro dell’Interno non ha avuto modo di fare altrettanto con l’analisi che sbertuccia, per dirla con “il Post”, «diversi siti e account social della Lega o di suoi sostenitori ».