Se la riforma della giustizia, attesa fra una settimana in Consiglio dei ministri, passerà, il governo auspica di poter ridurre entro la fine dell’anno l’attuale maxi arretrato dei processi civili (circa 5 milioni) «fra il 20 e il 40%». Tradotto in numeri, l’obiettivo ambizioso è di 1 milione o addirittura 2 milioni di procedimenti in attesa, che potrebbero essere definiti entro il prossimo 31 dicembre. La stima viene formulata in queste ore dai tecnici del ministero di via Arenula, dove i
briefing col Guardasigilli Andrea Orlando si susseguono, in vista del 30 giugno, giorno in cui il pacchetto di norme finirà sul tavolo del Cdm, come ha confermato il ministro per i Rapporti col Parlamento, Maria Elena Boschi. Uno degli assi portanti, come detto, sarà l’insieme di norme sul processo civile. La convinzione del premier Matteo Renzi è nota: «Lo
spread tra noi e i tedeschi si misura anche sui tempi della giustizia civile. Il processo civile telematico parte a fine mese, ma non basta». Secondo l’ultimo Quadro di valutazione Ue nel settore civile, l’Italia è penultima in Europa per la lentezza dei processi e ultima per la mole di arretrato. Uno scenario desolante che scoraggia cittadini e investitori. Per accelerare il governo sta mettendo a punto un decreto per favorire il ricorso alla via extragiudiziale, potenziando le procedure arbitrali e con apposite camere presso i Consigli degli ordini degli avvocati (con la procedura di negoziazione assistita da un avvocato, mutuata dal sistema francese). Un ddl (o una legge delega) dovrebbero poi semplificare il rito ordinario (limitando la discussione in appello ai motivi di impugnazione), ma anche potenziare il ruolo dei tribunali delle imprese e della famiglia. Se lo sfoltimento dei processi civili dovesse riuscire, la scossa sull’economia sarebbe potente, se si tiene conto che il totale azzeramento dell’arretrato, secondo Confindustria, farebbe recuperare all’Italia il 4,8% del Pil, circa 96 miliardi di euro. «Vogliamo dare priorità ai temi che incidono direttamente sull’economia e lo sviluppo del sistema», argomenta il viceministro della Giustizia, Enrico Costa (Ncd), che assicura invece: «La questione intercettazioni non è all’ordine del giorno». Sul punto, il ministro Orlando ha già annunciato la ricezione di una direttiva del Garante per la privacy, ma senza nuove leggi. Nel settore penale, il ministero sta integrando un ddl, che inaspriva le pene per l’associazione mafiosa (da 10 a 15 anni) e con l’introduzione del reato di autoriciclaggio (con pene fino a 6 anni) e del 'nuovo' falso in bilancio (fino a 5 anni), mentre è ancora
in fieri l’ipotesi di modifiche all’istituto della prescrizione. C’è poi l’intenzione di modificare i criteri di elezione del membri togati del Csm, col voto disgiunto per consentire preferenze per candidati di liste diverse, ma che entrerà in vigore solo dal 2018. Per Costa la credibilità della giustizia passa anche «dalle nuove regole per il Csm. È necessario chiedersi se servano accorgimenti per alleggerire l’eccessivo peso delle correnti». Per l’ex guardasigilli Nitto Palma (Forza Italia), presidente della commissione Giustizia a Palazzo Madama: «Serve una riforma seria ed equilibrata, non ritorsiva nei confronti dei giudici, ma dove questi ultimi, come tutti i funzionari pubblici, rispondano, sia pure indirettamente, dei danni da loro provocati per dolo o colpa grave». Sul punto sembra esserci un’ampia convergenza parlamentare. Pure M5S è favorevole. «Siamo pronti a votare sì - sostiene Enrico Cappelletti, in commissione giustizia al Senato - . Mentre sulle intercettazioni la pensiamo all’opposto: bisogna fare sempre più ricorso a tale strumento. La privacy? Non ci interessa. Chi ha la coscienza pulita può dormire sonni tranquilli ». Ok alla responsabilità civile anche da Fratelli d’Italia: «I magistrati non possono essere esclusi dalle responsabilità di dolo e colpa connesse all’esercizio della loro attività - evidenzia Guido Crosetto - . Devono ricevere lo stesso trattamento di un commercialista, un idraulico o un politico».