lunedì 5 novembre 2012
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«Il Club alpino italiano ha per iscopo l’alpinismo in ogni sua manifestazione, la conoscenza e lo studio delle montagne, specialmente di quelle italiane e la difesa del loro ambiente naturale». A 150 anni di distanza, l’associazione dei “montanari” riconferma l’impegno ad assolvere questi compiti dettati nel 1863 dal fondatore Quintino Sella. Ministro delle Finanze del neonato Regno d’Italia, Sella, dopo una salita al Monviso, prese la decisione di fondare un Club alpino, con lo scopo di «indurre i giovani a solcare in varie direzioni e sino alle più alte cime queste meravigliose Alpi». Aggiungendo: «Col crescere di questo gusto crescerà pure l’amore per lo studio delle scienze naturali e non ci occorrerà più di vedere le cose nostre talvolta studiate più dagli stranieri che non dagli italiani». Così, due mesi dopo quell’ascensione, il 23 ottobre 1863, Sella diede inizio a Torino alla plurisecolare vicenda del Cai che, quarto club alpino al mondo (dopo quello inglese, austriaco e svizzero) e prima associazione dell’Italia unita, ha avviato nei giorni scorsi le celebrazioni del 150° con una solenne cerimonia alla Camera dei Deputati.«Un secolo e mezzo dopo – spiega il presidente generale Umberto Martini – siamo ancora fedeli agli ideali dei padri fondatori. Fin dagli inizi, infatti, pratica attiva e cultura furono (e sono ancora) i principali fondamenti per una diffusione della conoscenza del territorio come presa di coscienza d’identità e maturazione civile, che mostra lo stretto legame tra il Club alpino e l’Italia unitaria».A testimonianza della validità e attualità di questi principi ispiratori, storicamente il Cai è vicino alle popolazioni di montagna e guarda con favore alle tracce di neoruralismo che stanno interessando le “terre alte”. Si tratta ancora di “numeri” limitati ma che sono il segno di un “ritorno alla montagna” che fa ben sperare circa l’inversione di una tendenza allo spopolamento di borgate e paesi.«Da qualche anno – conferma il presidente Martini – stiamo assistendo a una sorta di emigrazione alla rovescia che vede tante famiglie, soprattutto giovani, tornare a vivere in montagna. Siamo favorevoli a tutte le iniziative che sostengono questo “ritorno”, che significa anche riscoperta di attività artigianali in via di estinzione e l’avvio di nuove micro-imprese legate alle tradizioni del territorio».Proprio per sottolineare questa particolare attenzione ai “montanari del terzo millennio”, il Cai, all’interno del Comitato scientifico centrale, ha istituito il Gruppo terre alte. Dal 1991, il Gruppo opera per valorizzare le attività culturali e per salvaguardare la storia antropica delle aree montane, spesso in collaborazione con le amministrazioni locali, evidenziando, in particolare, tutti quei fenomeni di ritorno alla montagna che stanno interessando l’arco alpino e appenninico.«Per il nostro 150° – riprende il presidente generale Martini – abbiamo scelto lo slogan “La montagna unisce”, per ricordare a tutti che le cime fanno da cerniera tra i Paesi e non costituiscono una barriera tra i popoli. Da qui discende l’impegno dei soci del Cai per la manutenzione e la conservazione della rete dei sentieri. Tra l’altro, la loro buona tenuta è anche una delle condizioni indispensabili per favorire il mantenimento in quota della popolazione, che è, appunto, uno degli obiettivi del 150°. Un evento non autocelebrativo, ma occasione per richiamare l’attenzione di tutti sulle tematiche del territorio montano, cerniera d’Europa, determinando un rilancio, una rinascita in primis di queste zone in termini sia economici che etici e culturali».
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