giovedì 29 settembre 2022
In arrivo una svolta storica per la presidenza del Consiglio. Con quali caratteristiche? Parlano Izzo, Ferrario, Ricci Sindoni e Terragni
Giorgia Meloni

Giorgia Meloni - Reuters

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«Sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono una cristiana». E adesso con ogni probabilità al tormentone si aggiungerà anche «sono una premier». Anzi, la prima donna premier in Italia. Che Meloni si accinga a infrangere un tetto di cristallo si è già detto. Che a farlo sia una donna di destra e non di sinistra è stato un tema sufficientemente sciorinato nelle analisi politiche. Giorgia Meloni è una donna giovane che ha conquistato un partito maschile-maschilista fin dal nome, è sempre circondata da uomini (altre donne in Fratelli d’Italia ce ne sono poche), è aggressiva nella comunicazione, spavalda nei giudizi, muscolare nei confronti degli avversari, roca e profonda nel tono di voce.

Una leadership che imita le modalità maschili per affermarsi e gestire il potere? O piuttosto che ignora e/o supera le categorie del femminile e del maschile? E poi: il fatto che Meloni sia contraria alle quote rosa è sufficiente a bollarla come «donna che odia le donne», come ha scritto Michela Marzano su Repubblica? «È evidente che Giorgia Meloni non sposa la causa del femminismo – interviene Paola Ricci Sindoni, filosofa e cofondatrice di Scienza & Vita –. Ma è certamente portatrice di un modo femminile di fare politica, attraverso l’espressione di valori tradizionali come la maternità, la famiglia... ». Il suo atteggiamento aggressivo e spavaldo è «un modo per difendersi e imporsi in un mondo di maschi». Ma ha colpito che «subito dopo la nottata elettorale sia scappata via da tutto e da tutti per stare qualche ora accanto alla sua bambina – continua Ricci Sindoni –. È evidente che per lei la maternità è un tratto distintivo, e che la sua dimensione pubblica non sopprime quella privata, come spesso accade invece ai politici maschi. La femminilità della aspirante premier si esprime in questa spinta a tenere separati, ma non slegati, pubblico e privato».

La maternità vissuta intensamente dona a Giorgia Meloni «una dimensione tridimensionale» che nessun uomo ha, afferma Marina Terragni, saggista femminista che incrocia i percorsi della leader vincitrice alle elezioni nella contrarietà all’utero in affitto e nella valorizzazione, per l’appunto, della figura materna. «L’augurio è che, pur non venendo da una storia paritaria, porti la sua differenza femminile ai massimi vertici della politica. Penso ad esempio che per quanto riguarda le politiche sulla maternità possa esprimere una visione diversa da quella di un uomo: liberare la singola donna dagli ostacoli affinché sia realizzato il desiderio di maternità... su questo tema il suo essere donna farebbe la differenza». Anche perché, sottolinea Terragni, Giorgia Meloni è cresciuta in una famiglia composta da una madre sola e da una sorella «e questo non può non aver lasciato il segno».

Il passaggio è cruciale: Giorgia Meloni, leader femminile ma non femminista, ostile alle quote rosa, testimonial del «farsi da sé», da premier continuerà i programmi che promuovano la parità uomo-donna e l’affermazione femminile in tutti i campi? Prova a rispondere Francesca Izzo, ex parlamentare Pd, politologa attenta e sensibile e tra le fondatrici del "collettivo" femminista "Se non ora quando?". «Essere donne non è un insignificante accidente, ma uno dei due modi di esistere dell’umanità. Giorgia Meloni non si vergogna di essere donna, è orgogliosa di aver rotto il soffitto di cristallo affermandosi per via propria, non con meccanismi di cooptazione o vie preferenziali. Ma è assente l’elemento cardine del femminismo: quello di legarsi ad altre donne e fare del proprio successo un successo collettivo e condiviso e portare avanti una serie di politiche specifiche».

Giorgia Meloni enfatizza l’appartenenza a un circolo familiare di legami femminili solidali e non competitivi (la mamma coraggiosa, la sorella complice, la figlia protetta fino a diffondere una diffida legale ai giornalisti... ), ma non mostra interesse a riferirsi al mondo femminile in sé stesso. E questa sostanziale neutralità è stata, secondo Izzo, anche la chiave del suo successo: «Meloni si è affermata con una tenacia e una forza non comuni, però non avendo legami con altre donne è stata vissuta come non pericolosa dagli uomini con i quali è entrata in contatto. L’hanno sostenuta perché non ha messo in discussione l’assetto maschile del potere». Donna al cento per cento, con una corporeità esuberante (a tratti anche sguaiata, vedi il video con due meloni su TikTok il giorno delle elezioni... ), a differenza di tante esponenti dei decenni passati, da Nilde Jotti a Tina Anselmi «che in qualche modo occultavano la propria femminilità». Meloni, insomma, porta per la prima volta il femminile al vertice del potere della Repubblica, ma senza il "bagaglio" del femminismo, vale a dire l’elaborazione della libertà delle donne per cambiare l’assetto della società.

Ma non necessariamente si tratta di un percorso negativo, se non altro perché esso è comune a tante donne che sentono il femminismo come estraneo o come un perenne esame da superare. «Meloni ha messo in campo qualcosa di inedito – continua Izzo –. Ma in qualche modo è lei stessa figlia del femminismo, figlia di un mondo che ha reso possibile un percorso come il suo, in nome della libertà, dell’autonomia e della capacità femminile di raggiungere qualsiasi traguardo».

L’aspetto più controverso è l’individualismo: lei ce l’ha fatta, ma quante potranno percorrere la stessa strada? Di certo l’arrivo di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, come sembra ormai scontato, è una buona notizia per le donne e soprattutto, ragiona Tiziana Ferrario, giornalista e autrice di "Uomini, è ora di giocare senza fallo!» (Chiarelettere, 2020) per le donne che militano nei partiti di centrosinistra. «Il soffitto di cristallo, se si rompe, si rompe per tutte. Anche se non si condividono alcuni valori di cui lei è portatrice, se ne devono riconoscere la determinazione, la disciplina, il non farsi scoraggiare dal fuoco amico. La lezione per tutte è di farsi avanti: le donne in politica partecipano poco e di conseguenza arrivano difficilmente ai vertici e quando ci arrivano di frequente sono cooptate», ragiona Tiziana Ferrario.

La lezione specifica per le esponenti politiche di sinistra è che devono scrollarsi di dosso «l’obbedienza e la bontà nei confronti dei capicorrente, tutti uomini, che decidono dove come e quando si devono candidare». Quando allo specifico femminile che Meloni potrebbe portare al vertice del Paese, a Tiziana Ferrario pare più importante che la futura probabile premier governi bene, «pensando all’inclusione e soprattutto all’articolo 3 della Costituzione». Che recita così: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».

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