È di nuovo bufera sulla
vexata quaestio dell’assegnazione delle frequenze televisive. La giornata di ieri è stata segnata infatti da una raffica di tuoni e fulmini, scagliati da Mediaset e dal Pdl all’indirizzo del governo Monti, accusato di aver orchestrato un’imboscata d’intesa col Pd, cancellando con un emendamento al decreto fiscale il
beauty contest (l’assegnazione gratuita di alcune frequenze decisa dall’esecutivo Berlusconi) in favore di un’asta pubblica al miglior offerente per rastrellare risorse.Il primo a tuonare è stato il presidente di Mediaset (riconfermato giusto ieri in Cda), Fedele Confalonieri, adirato per gli «intenti punitivi» dell’emendamento al punto di annunciare un ricorso al Tar del Lazio. Dichiarazione poi corretta dall’azienda: «Il ricorso di Mediaset è stato depositato al Tar il 13 marzo 2012 e si riferisce al provvedimento ministeriale del 20 gennaio che aveva disposto la sospensione del "beauty contest"».Ricorso o meno, l’ira del numero uno del Biscione si è fatta sentire: «Mi disturba la parola "gratis", perché deriva da una campagna ossessiva, maniacale, martellante e disonesta che vuol far passare un nostro diritto acquisito da decenni per gratuità. Inoltre, il
beauty contest era una procedura legale e condivisa dall’Europa. Mediaset le sue frequenze le ha pagate tutte, anche quella Dvbh». Poi una stoccata al governo («Si fanno i gargarismi con la parola "crescita", ma se si escludono le due più importanti aziende del Paese che investono nel settore, che crescita si può fare?») e un’altra al ministro Corrado Passera: «Ne ho un’eccellente opinione. Ma a volte anche i preti sbagliano a fare la Messa. E questa volta ha sbagliato».Contro il titolare del dicastero di via Veneto si è scagliato anche il Pdl, col deputato ed ex ministro, Paolo Romani: «Prendiamo atto del
vulnus politico che si è venuto a creare in commissione Finanze. Non metteremo in crisi il governo per questa vicenda, ma resta il fatto che un ministro ha violato degli accordi presi in precedenza con il Pdl». Da Palazzo Chigi, pronta la risposta di Passera: «Il testo è stato per parecchie ore a disposizione di tutti e poi consegnato alla Commissione Finanze per l’approvazione. I vincoli previsti nella nuova norma non impediscono a nessuno di poter partecipare alla gara». Controreplica a stretto giro, dal Transatlantico, di Romani: «Non è così. Passera studi le carte. E impari a studiare...». Parole più pesanti erano state pronunciate in mattinata dal capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto: «È un mediocre incidente, provocato da un mediocre ministro, che non si capisce bene se è troppo maldestro o troppo furbo».Le bordate del Pdl però non sembrano aver indotto il governo, almeno finora, a ulteriori cambi di rotta. Lo ha lasciato intuire il premier Mario Monti, schierandosi al fianco dell’azione del ministro per lo sviluppo economico: «Appoggio e difendo» la decisione sull’asta, ha dichiarato ai cronisti, assicurando l’inesistenza di frizioni col Pdl e anticipando che del nodo delle frequenze non si sarebbe parlato neppure nell’incontro a pranzo con Silvio Berlusconi, previsto per l’indomani.Appuntamento che però il Cavaliere ha preferito far slittare: «Per non alimentare polemiche e per evitare o prevenire insinuazioni malevole su questioni inerenti le frequenze televisive - ha annunciato una nota -, il Presidente Silvio Berlusconi ha chiesto al Presidente del Consiglio, senatore Mario Monti, di rinviare la colazione prevista domani (oggi, ndr) a Palazzo Chigi». Una mossa diplomatica, da temporeggiatore, per tirarsi fuori dall’agone e lasciare campo ai colonnelli del Pdl e alla discussione in commissione Finanze, nella convinzione che la partita politica sulle frequenze tv non sia ancora del tutto chiusa. Lo lasciano immaginare anche le parole di chi, in Mediaset, ha raccolto da tempo l’eredità di famiglia, il vicepresidente Pier Silvio Berlusconi: «Per noi la necessità di avere un nuovo spazio trasmissivo immediato non c’è. Ma lo spazio trasmissivo rappresenta un valore, quindi in proiezione futura il nostro interesse rimane».