giovedì 11 ottobre 2012
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Novecento euro di multa. Questa la sentenza del giudice Carmen D'Elia per il presidente della Regione Roberto Formigoni, accusato dai Radicali di diffamazione a mezzo stampa aggravata dall'attribuzione di un fatto determinato, per averli accusati di aver manipolato le firme raccolte a sostegno della propria candidatura alle ultime elezioni regionali. Il pubblico ministero Mauro Clerici aveva chiesto la condanna a un anno di carcere e a 500 euro di multa. Nella fase finale della requisitoria, lo scorso 12 luglio, il pm aveva sostenuto di non vedere "ragioni per cuipossano essere applicate all'imputato le attenuanti generiche. La condotta del presidente Formigoni anche nella fase successiva alle dichiarazioni non mi pare meriti la concessione delle attenuanti generiche: ricordo che nel frattempo si è conclusa con la richiesta di rinvio a giudizio un'indagine della procura proprio sulla raccolta fraudolenta delle firme delle liste elettorali a sostegno di Formigoni, cui sono seguite dichiaraziazionipubbliche fatte da un personaggio pubblico senza nessun tentativo di rivisitazione all'esito di tali eventi successivi. È vero che in merito non c'è ancora nemmeno la sentenza di primo grado, ma comunque siamo rimasti fermi alle dichiarazioni lesive della reputazione dei Radicali. Per questo motivo chiedo che l'imputato sia ritenuto responsabile reato del reato ascrittogli  e condannato a un anno di reclusione e a 500 euro di multa".Oggi, però, il giudice della quarta sezione penale ha concesso a Formigoni le generiche utili a non infliggere una pena detentiva. Tuttavia, per conoscere le motivazioni del magistrato, bisognerà attendere di leggerle conil deposito della sentenza che avverrà tra sessanta giorni. Nella sentenza D'Elia spiegherà anche come ha quantificato in un totale di 110mila euro i danni subiti dalle parti civili. Ha infatti disposto che Marco Cappato e Lorenzo Lipparini siano risarciti rispettivamente con 30mila euro. Altri 50mila euro andranno ai Radicali, rappresentati da Marco Pannella. Il dibattimento che si è concluso oggi in primo grado è nato da un esposto dei Radicali depositato dopo che Formigoni, in due conferenze stampa del 4 e 5 marzo 2010, aveva detto che gli avversari politici erano rimasti per più di 12 ore con le liste che lo appoggiavano per verificare come loro diritto la liceità delle firme raccolte per le elezioni del 28 e 29 marzo successivi. Formigoni aveva sostenuto che erano spariti 51 certificati elettorali, dicendo: "Ho la dimostrazione che c'è stata una macchinazione per escludere il centrodestra".In merito l'accusa aveva sostenuto durante la requisitoria che Formigoni in merito si era limitato a depositatare un esposto al ministro "di cui, però, non vi è data certa e che anzi forse poteva avere efficacia intimidatoria", senza mai fare denuncia in procura. Non solo, "nei ricorsi alla Commissione elettorale e al Tar presentati dalla lista di Formigoni non è stata mai dedotta, né prospettata, alcuna manipolazione da parte di terzi delle liste depositate - aveva aggiunto Clerici -. Solo si contestano i vizi che vi venivano ravvisati".Dunque, secondo il pm, Formigoni ha attribuito indebitamente fatti determinati e anche di rilievo penale, come "una sorta di attentato alle istituzioni", agli esponenti Radicali e a suo avviso non gli può essere riconosciuta l'esimente del legittimo ricorso al diritto di critica politica. "Le dichiarazioni di Formigoni - aveva spiegato - hanno riferimento del tutto fattuale a una vicenda precisa storicamente determinata, che non riguarda una valutazione, ma comportamenti concreti che hanno rilievo penale".L'avvocato Giuseppe Rossodivita, associandosi alla richiesta di condanna, aveva chiesto al giudice di stabilire già in sede penale come poi è avvenuto un risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dai propriassistiti a causa del comportamento dell'imputato. Danni che a suo avviso andavano quantificati in 200mila euro. Invece lo scorso 27 settembre l'avvocato Mario Brusa, difensore dell'imputato, ne aveva chiesto l'assoluzione, sostenendo che il suo assistito aveva esercitato il diritto di cronaca e di critica politica, senzacommettere diffamazione.
 
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