Una veduta dell'aula di Montecitorio (Ansa)
Le volontà di fine vita che diventano 'disposizioni' tassative nelle mani di un medico reso poco più che un esecutore; la mancata previsione di un margine per l’obiezione di coscienza del personale sanitario; idratazione e alimentazione assistite che, catalogate come terapie, vengono assimilate ai trattamenti sanitari cui si può decidere di rinunciare, anche se questo comporta la morte; la genericità di definizioni – come «qualità della vita» – che si prestano a ogni interpretazione; l’assenza di disposizioni che escludano esplicitamente qualunque esito eutanasico di pratiche mediche. Sono questi i principali nodi che la Commissione Affari sociali della Camera dovrà sciogliere da martedì mattina, quando inizierà l’esame dei 290 emendamenti di merito che hanno superato la selezione decisa – a norma di regolamento – per escludere richieste di modifica ostruzionistiche e cercare di arrivare in tempo all’appuntamento col dibattito in aula, fissato – con una fretta che ha suscitato vibrate proteste – per il 30 gennaio, senza fissare il vincolo della previa conclusione del dibattito in Commissione. Davvero un margine risicato per sciogliere nodi così complessi e delicati. Ne è consapevole il presidente della Commissione, Mario Marazziti (Demos): «Chiederò alla presidenza della Camera un margine di altre due o tre settimane. Quello cui siamo approdati dopo 19 sedute, 47 audizioni e 9 comitati ristretti è un testo base su cui lavorare, e nel quale ad esempio il termine 'disposizioni anticipate' andrà sostituito con 'dichiarazioni'. Credo sia possibile trovare un buon compromesso. Per questo nella selezione degli emendamenti ho seguito un criterio 'largo'». Un approccio che la relatrice Donata Lenzi (Pd) ha molto apprezzato, convinta che si debba «assolutamente arrivare all’approvazione del testo». Ma il percorso è tutt’altro che chiaro, anche per le fondate riserve di deputati esperti in bioetica come Gian Luigi Gigli, Paola Binetti, Eugenia Roccella e Raffaele Calabrò, estensore del ddl sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento – nato per evitare il ripetersi di tragedie come quella di Eluana Englaro – che nella precedente legislatura arrivò a un soffio dal varo definitivo.
Concluso ieri l’esame generale del disegno di legge, che in 5 articoli prova a far sintesi tra le 15 proposte depositate quasi un anno fa, sul tavolo della Commissione c’è ora un rompicapo di difficile composizione. Se Marazziti infatti con- sidera questa legge sul fine vita «un argine a possibili futuri provvedimenti assai peggiori», sottolineando il valore dell’innovativa «pianificazione condivisa delle cure» introdotta all’articolo 4 e potenzialmente «in grado di umanizzare il morire neutralizzando i tentativi di deprezzare la vita umana», Gigli è invece convinto che il provvedimento «sta per introdurre in Italia l’eutanasia in forma omissiva, senza peraltro avere il coraggio di chiamare con questo nome la sospensione di idratazione e nutrizione finalizzata ad affrettare la morte del paziente, anche al di fuori di condizioni di tipo terminale e di sofferenza incontrollabile, anche su minori, disabili e incapaci». Analoga la preoccupazione di Paola Binetti: «Molti sostenitori di questa legge certo non vogliono l’eutanasia, ma così com’è scritta la norma pone tutte le condizioni perché non ci si possa non arrivare, com’è accaduto in Olanda e in Belgio».
Nel mezzo di questo confronto ieri l’Associazione radicale Luca Coscioni ha divulgato – tramite il Corriere della Sera – la drammatica vicenda di Fabiano Antoniani, 39 anni, noto come dj Fabo, che un incidente d’auto il 13 giugno 2014 ha reso tetraplegico e cieco. Persa ogni speranza in terapie rivelatesi infruttuose, Fabo chiede ora al presidente Mattarella tramite un video e con la voce della fidanzata Valeria di morire per mettere fine a una «notte senza fine». Una richiesta di eutanasia attiva, che certo non agevola un dibattito sereno.
«Una riflessione sul fine vita» compare anche nell’ordine del giorno del Consiglio permanente Cei, da lunedì a Roma.