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Federica non vuole più scendere con sua mamma in cortile, a giocare con le bambole sull’erba. L’ultima volta – il quartiere è residenziale, al cuore di Milano – dai balconi la gente s’è affacciata urlando: «Via i bambini, ci portate il virus. Basta, siete giù tutti i pomeriggi!». La madre ha risposto a tono, ma Federica è scoppiata a piangere: «Ma cosa faccio di male, mamma?».
Dall’altra parte della città, alla periferia di Quinto Romano, Marco invece scende senza le proteste dei vicini. Ma il pallone resta all’angolo, lui si siede sul muretto e da qualche giorno continua a ripetere: «Papà, la gente può uscire per andare a fare la spesa e lavorare e io non posso tornare a scuola o a giocare con i miei amici, questo non è giusto». «Marco, senza mangiare e senza lavorare non possiamo vivere» gli risponde il padre. «Ma anche io non posso vivere, senza la scuola e gli amici» protesta lui.
Sradicati improvvisamente da ogni tipo di relazione sociale, messi in secondo piano rispetto allo jogging e ai cani, accusati persino di far ammalare i nonni: dei figli d’Italia – 8 milioni di cittadini sulle cui gambe dovrà reggersi la ricostruzione del Paese nei prossimi dieci o quindici anni – alla vigilia della “fase 2” non parla nessuno.
Fatta eccezione per la ministra della Famiglia Elena Bonetti, che di «ora d’aria per i bambini» è tornata a parlare anche ieri, ricordando come sia «un diritto fondamentale dei più piccoli poter vivere la loro infanzia». Una precisazione che ha dell’incredibile, non fosse che da ormai due mesi i piccoli sono confinati nelle case 24 ore su 24 senza prospettive e senza progetti per il loro futuro. Molti chiusi in se stessi, angosciati, apatici. «Serviranno mascherine e guanti anche per i piccoli» ha spiegato per la prima volta concretamente la ministra, che ha detto d’essere in attesa di indicazioni da parte del Comitato tecnico scientifico in questo senso.
E che ha ringraziato i sindaci che hanno risposto al suo appello «per costruire occasioni ricreative ed educative per poter vivere i mesi estivi come mesi di benessere». In particolare, Beppe Sala e Virginia Raggi, che ieri si sono attivati immediatamente su Milano e Roma per verificare la possibilità di attivare centri estivi a partire da giugno. Un’ipotesi che al momento sembra fantascienza considerando che il semplice tentativo di concedere una passeggiata all’aperto ai più piccoli un paio di settimane fa – il riferimento è alla famosa circolare del Viminale subito “ritrattata” dal governo stesso – sollevò le proteste in primis della comunità scientifica (con virologi del calibro di Roberto Burioni pronti a sottolineare come «le maniglie dei portoni e i tasti degli ascensori toccati dai bambini e dai loro genitori» avrebbero permesso soltanto al coronavirus «di farsi una passeggiata»). Il tutto mentre in molti Paesi europei scuola e attività sono invece già partite, o lo faranno nei prossimi giorni.
La verità è che a poco sono valsi gli appelli avanzati fin dalle prime settimane del lockdown da psicologi, educatori e pedagogisti concretizzatisi in almeno una quindicina di lettere aperte al governo: contenuto, sempre lo stesso, dare la possibilità ai più piccoli di vivere. E di tornare a uscire. Contingentati, a turni, a piccoli gruppi, un giorno sì e uno no, per ordine alfabetico. Niente: in nessuno dei decreti messi per iscritto finora dall’inizio della pandemia s’è presa in considerazione l’emergenza dei minori (né di quelli “sani” né di quelli disabili, o più sfortunati, con famiglie divise o in stato di estrema povertà).
Come in nessuna delle pur numerose task force istituite per la ripartenza, lo ha sottolineato anche il Garante Filomena Albano, si è inserito un esperto di infanzia. E se di scuola s’è parlato, il dibattito ha riguardato per lo più gli esami, i programmi, i tablet, le classi. Non i minori, cioè le persone al centro della scuola, coi loro bisogni, le loro domande, le loro ansie. Gli ultimi ad alzare la voce in questo senso sono stati quelli di Save the children: «Riteniamo necessario e urgente – ha sottolineato Raffaela Milano, direttrice dei programmi dell’organizzazione – un piano organico che comprenda sia la scuola che le attività territoriali e che coinvolga, in rete, tutti gli attori, a partire dalle scuole, le famiglie, le istituzioni locali, l’associazionismo e il volontariato».
Il senso è articolare un progetto complessivo, che coinvolga tutte le agenzie educative e che possa garantire ai piccoli un graduale ritorno alla normalità, al pari e compatibile con quello degli adulti. Le esperienze sul territorio esistono: già numerose associazioni si sono fatte avanti per accogliere e gestire bambini impossibilitati, per esempio, ad accedere alla didattica online o a vivere in case troppo piccole, magari con parenti ammalati. E lo fanno in sicurezza.
Sempre ieri la ministra Bonetti ha esortato gli esperti a farsi avanti (e la politica a prenderli sul serio) declinando «la genialità dell’educazione» in nuove prospettive, capaci di consentire ai più piccoli partite di calcio e vacanze estive con nuove modalità. “Servizi essenziali” a tutti gli effetti per i bambini, i cui diritti non possono essere tralasciati oltre.