mercoledì 4 luglio 2012
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I farmaci generici sono una grande opportunità perché consentono cure efficaci a un costo inferiore. E hanno anche l’effetto collaterale – per nulla indesiderato – di determinare, come insegna la legge della concorrenza, la riduzione dei costi dei farmaci brended, cioè di marca. Però... Se è vero che un farmaco equivalente – generico, come viene chiamato più spesso – deve avere la stessa composizione qualitativa e quantitativa del farmaco originale (o, più precisamente, generatore), identica forma farmaceutica e uguali indicazioni, è vero anche che, invece, la bioequivalenza deve essere solo simile. Il che significa che gli eccipienti – le sostanze aggiunte al principio attivo per assicurarne compattezza, dissolubilità, stabilità – possono variare. Particolare non marginale: perché eccipienti diversi potrebbero significare, per esempio, tempi di rilascio differenti nell’organismo (se cambiano i polimeri), una dissoluzione più lenta o incompleta (se sono i leganti, i disgreganti o i tensioattivi a cambiare), una tollerabilità inferiore (per alcuni soggetti non è ininfluente se per edulcorare il prodotto viene usato l’aspartame al posto dello zucchero). Di tutto ciò è consapevole anche l’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, che in un articolo pubblicato sul suo bollettino bimestrale (il numero 3 del 2008) scrive testualmente: «Un aspetto importante della valutazione della qualità del medicinale è la verifica della formulazione dal punto di vista degli eccipienti. Infatti, la differente composizione in eccipienti tra medicinale equivalente e di riferimento, pur essendo prevista dalla normativa, può implicare potenziali differenze in termini di efficacia e sicurezza». Per esempio, prosegue la pubblicazione dell’Aifa, «nel caso di forme farmaceutiche orali solide, gli eccipienti possono influenzare anche significativamente la dissoluzione e quindi la biodisponibilità del medicinale, in particolare per le forme a rilascio modificato». E nella pagina successiva, nell’ennesimo articolo del numero monografico dedicato ai generici, si legge che «due medicinali bioequivalenti possono presentare differenze per la loro composizione in eccipienti con possibili ripercussioni in determinate categorie di pazienti. La presenza di glucosio – prose gue l’estensore dell’articolo – può avere ripercussioni in pazienti diabetici, la presenza di amido in grano in soggetti affetti da celiachia, la presenza di aspartame in pazienti affetti da fenilchetonuria». Segue l’invito a mettere tutto bene in evidenza nel bugiardino. La scoperta dell’acqua calda è che equivalente non vuol dire identico, sebbene molti siano convinti di sì. Alcune molecole – i principi attivi che ci hanno abituato a chiedere al farmacista l’acido acetilsalicilico invece dell’Aspirina, l’ibuprofene ipiuttosto del Moment, il paracetamolo al posto della Tachipirina – vantano fino a una quarantina di equivalenti. Farmaci che l’attuale normativa italiana incentiva parecchio: dopo la scadenza del brevetto, il Servizio Sanitario Nazionale rimborsa al farmacista il prezzo del generico e non quello del prodotto di marca, con il risultato che – se il medico di base non esprime chiaramente in ricetta la non sostituibilità del prodotto – il paziente dovrà accollarsi la parte eccedente della spesa.Nel caso la prescrizione riguardi un prodotto di marca, il farmacista deve informare il cliente che esiste un’alternativa più economica. Per tutti: per lo Stato che si fa carico della spesa medica, per il paziente che non deve sborsare altro denaro, per il farmacista. Se lo sconto sul prezzo di listino che le case farmaceutiche applicano ai farmacisti è del 33,3 per cento, quello sui generici sale al 41. Quindi, chi si trova dietro il bancone della farmacia ha tutto da guadagnare proponendo gli equivalenti. Non solo: «È vero che la percentuale di sconto è fissa ma per spingere i propri prodotti non è illecito né raro favorire i farmacisti in altro modo. Per esempio – spiega un informatore farmaceutico che, per ovvie ragioni, vuole restare anonimo – vendendo dieci scatole di un farmaco e regalandone altre dieci. In questo modo il guadagno della farmacia raddoppia e chi vende è incentivato a proporre un equivalente piuttosto di un altro». Si difende Federfarma, la federazione dei titolari di farmacia: «Forse poteva essere così una volta, quando lo sconto sui generici era libero. Oggi è fissato e da lì non si scappa. Anzi – spiega Annarosa Racca, presidente della Federfarma – lo Stato ci ha multato proprio per gli sconti ottenuti all’inizio, costringendoci a versare l’1,4 per cento del fatturato. Uno scherzo che è costato alla categoria 180 milioni di euro. Per noi un equivalente vale l’altro, abbiamo una lista stilata dall’Aifa e a quella ci atteniamo. Se poi la qualità non è uguale per tutti, la questione è da sottoporre all’Agenzia del farmaco che tutti li ha approvati...».
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