Nella zona industriale, l’unico a non aver subito danni è il ristorante Papillon. Ma quante gliene ha fatte passare il Comune al signor Nello... «I lavori sono iniziati poco dopo il terremoto dell’Irpinia - racconta - e nessuno ci voleva qui, così si sono inventati che dovevamo seguire scrupolosamente la normativa antisismica. Hanno mandato geologi e ingegneri, mi hanno fatto spendere una fortuna nelle fondazioni...» In questi sei mesi il ristorante non è rimasto chiuso un sol giorno: neanche una crepa. Tutt’intorno, invece, il terremoto del 20 maggio si è dato da fare in maniera certosina. Lo si capisce da come si lavora, perché di macerie nelle fabbriche tra Mirandola e Medolla, San Felice e Finale Emilia ne sono rimaste poche. È tutto un formicaio di muratori e saldatori: l’Emilia laboriosa che non la ferma neanche il terremoto, un epos talmente reale che quando padroni e operai sono morti sotto le stesse travi, a causa della seconda scossa, la mattina del 29, nessuno si è stracciato le vesti. La tragedia si era consumata da poche ore, quando il governatore- commissario, Vasco Errani, chiariva che l’Emilia voleva ripartire «subito» e che il distretto del biomedicale e della piastrella non doveva fermarsi. Più d’uno ha letto i recenti tentennamenti europei sui 670 milioni di aiuti come un maldestro tentativo di concorrenza industriale dei Paesi nordeuropei. «Non stupitevi se continuiamo a lavorare dove è morta la nostra gente: questa è la nostra terra, questo è il nostro lavoro e questa è la nostra vita - sintetizza Paolo Stabellini, proprietario del gruppo Edilteco - . Anche noi la mattina del 29 eravamo tutti al lavoro per sgomberare e ripartire». Ci accoglie nello stabilimento in cui produceva isolanti per costruzioni: è rimasto un piazzale coperto dal cielo. Tremila metri venuti giù. Sono saltati i ganci a vite prigioniera: il brevetto è diffusissimo tra chi monta prefabbricati ma sismicamente non è un granché. «Abbiamo trasferito le macchine in altri capannoni - racconta - e gli uffici in una struttura provvisoria». Calcola «danni per milioni». Lo Stato ne rifonderà l’80%, pagando direttamente le imprese che faranno i lavori. Il dubbio che quei soldi arrivino tardi e male però serpeggia. Chi era assicurato contro il terremoto, perché il capannone era in leasing, ha già iniziato a ricostruire. Davanti alla Edilteco, una grande fabbrica di carta è stata smantellata e ricostruita in sei mesi. Quaranta passi più in là, invece, si erge silenzioso lo stabilimento Cargill, chiuso per sempre. Finora il governo ha trovato nove miliardi sugli oltre dodici che servono. Sei copriranno i costi della ricostruzione materiale di case e imprese. C’è maretta, invece, intorno ai sei del decreto 174 che regola la moratoria fiscale e dev’essere convertito in legge dal Senato. L’altroieri il Consiglio dei ministri ha esteso le agevolazioni ai liberi professionisti e ha avviato la procedura di pagamento: versamenti entro il 16 dicembre e rimborso per le imprese sotto forma di prestito bancario a interessi zero in due anni, coperto dallo Stato attraverso la Cassa Depositi e Prestiti. Può accedervi, però, solo chi presenta danni alle strutture e non chi ha subito solo perdite di fatturato: il sisma ha sconvolto il quadro di committenti e fornitori. Il meccanismo serve a tacitare le obiezioni dell’Europa su fiscal compact e aiuti di Stato ma che crea una voragine nei conti delle Pmi. «Prorogare ulteriormente i pagamenti e allargare l’elenco a chi ha visto crollare il fatturato - insiste Giovanni Messori, direttore di Confindustria Modena - ci pare ragionevole, tant’è vero che Errani ci sostiene». Palazzo Chigi non ci sente e sono preoccupati anche i lavoratori, per i quali è previsto un prestito solo parziale. «il governo ha posto un limite massimo alle ritenute, il quinto dello stipendio, ma non si aiutano dipendenti e pensionati costringendoli a versare tasse e Imu a sei mesi dalla tragedia; altri terremoti hanno avuto agevolazioni ben più cospicue» osserva Franco Saracino, responsabile fiscale della Cisl modenese. Il cratere vale quasi venti miliardi di valore aggiunto e ne genera oltre dodici in export. Industria e terziario, che danno lavoro a 270mila persone, hanno subito danni per tre miliardi. Altrettanti l’agricoltura. La fine della moratoria fiscale raggela, perché, come ricorda Stabellini, «la liquidità serve a finanziare la ricostruzione in attesa che arrivino i contributi, e fermarsi ora significa sparire dal mercato». Qualcuno minaccia lo sciopero fiscale. Luigi Mai, presidente della Cna di Modena, avverte: «si alza il livello della tensione sociale ». Il terremoto, stimano gli artigiani, farà crollare il fatturato del 40%.