venerdì 13 luglio 2012
​A Finale Emilia, epicentro del sisma del 20 maggio scorso, è partita l’operazione per il rientro negli alloggi. Così si convive con l’ansia e la voglia di riprendere una vita normale.
Modena, prima Messa nella cattedrale riaperta
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Michela ci riprova tutte le volte che la accompagnano in casa, ma i vigili del fuoco non ne vogliono proprio sapere. «Basterebbe mezzora per spazzare il pavimento, tirare su i quadri, spolverare un po’. Lei non sa quanta polvere fa l’intonaco che cade...» Prima del sisma, la signora Salvi abitava davanti alla trecentesca chiesa del Rosario, nel centro di Finale Emilia. Zona rossa. Ora la sua casa è inagibile per le lesioni e perché è minacciata dal campanile pericolante, eppure Michela sembra avere un’urgenza sola: spazzare via le tracce del terremoto. Una forma di difesa psicologica: «Anche se non posso tornare a vivere lì - dice - togliere ogni traccia vorrebbe dire che questo disastro è finito davvero». La casa della sorella Gloria, invece, è splendente: lei è tornata a vivere da pochi giorni al terzo piano di via Galimberti, con i figli e il marito, Mario Castagnoli, il meno convinto di tutti che la scossa di ieri sia stata l’ultima e che il pericolo sia finito davvero. I Castagnoli-Salvi sono una delle famiglie che hanno lasciato la tendopoli perchè la loro abitazione è agibile. Il piano del commissario di governo Vasco Errani è di completare il rientro degli sfollati entro l’autunno. Secondo la Protezione civile, sono rimaste poco più di diecimila persone nei campi di accoglienza, in scuole, palestre, caserme e alberghi. Quasi tutte in Emilia. Il decreto del governo destina alla ricostruzione 2,5 miliardi, ma prima di poterli spendere - per i privati è previsto un finanziamento fino all’80% del costo dei lavori - bisogna chiudere questa fase dell’emergenza. Non si pensa ancora alla ricostruzione pesante (ieri l’Ue ha annunciato un nuovo finanziamento di 50 milioni ma alla fine il conto raggiungerebbe i cinque miliardi) quanto a trovare un tetto per chi non ne avrà uno a settembre. Circolano le bozze di nuove ordinanze e le riunioni con i sindaci si susseguono a ritmo ininterrotto. Bandite le new town, si vuole evitare ai terremotati il triste inverno nei container e quindi si punta sulle case sfitte - il proprietario percepirà il canone di mercato e sarà coperto da un’assicurazione -, che tuttavia nei comuni più colpiti potrebbero non bastare. Le verifiche dei Vigili del fuoco non sono ancora terminate; al momento, solo il 39% delle abitazioni è agibile e il 38% definitivamente inagibile. Più rosea la situazione di edifici pubblici, scuole e ospedali, dove l’agibilità è stata riconosciuta al 43%. A Finale Emilia sono 2500 le abitazioni agibili, un migliaio quelle inagibili e 2000 da verificare entro un mese. I centri storici sono tutti una maceria. Ci vorranno anni per riportarli in vita. Come all’Aquila. Nel frattempo si lavora sulla paura che trattiene ancora fuori casa chi non ha subito alcun danno strutturale all’abitazione. Per ora è partito solo un avviso bonario, ma il Comune di Finale prepara a una vera e propria operazione sgombero per chi non ha diritto all’assistenza pubblica. Nell’epicentro del primo terremoto, quello del 20 maggio, ottocento cittadini hanno già lasciato le tendopoli e dormono tra le pareti domestiche. Ne restano 1400 e 232 negli alberghi. Meno di duemila si sono trovati una sistemazione autonoma (con un rimborso fino a 600 euro al mese) e molti hanno montato una tenda davanti a casa, dove dormire: sfollati sì, ma solo per la notte. «La paura del terremoto arriva con il buio, perchè allora non sai dove scappare» è la sintesi con cui Andrea, 11 anni, ti spiega perchè i "grandi" siano pronti a trascorrere la giornata sotto un capannone di cemento armato senza farsi troppe domande sulla sua sicurezza antisismica ma tremino al pensiero di addormentarsi nel proprio letto. «Abbiamo paura? E chi non ne ha. Ma quando passi dalla tenda al campeggio, all’albergo e intanto vedi la tua vita sfumare, a un certo punto te la riprendi comunque» spiega Gloria.I più convinti che le ferite del terremoto non si rimargineranno tanto in fretta sono i ragazzi, Alice 21 anni e i cugini Barbara, 14, e Davide, 18, figli di Marco e Patrizia Castagnoli, tornati anche loro in via Galimberti, al piano di sotto. Per i più giovani conta poco che non si paghino per qualche mese ticket, bollette e gabelle. Anche l’alleggerimento dell’Imu non risolve. «Il nostro paese non è più lo stesso - commenta Davide - il centro è vuoto, nei negozi che hanno riaperto non ci va nessuno». Le scuole non riapriranno a settembre: la Regione ha lanciato un programma da 56 milioni per realizzare 28 scuole prefabbricate con le quali assicurare il regolare inizio dell’anno scolastico a sedicimila studenti. «Però se stai male devi andare a Mirandola o a Modena perchè qui non c’è più l’ospedale» aggiunge il diciottenne. «Ora fa caldo e l’oratorio si è spostato nel parco, ma con la brutta stagione cosa succederà?» si chiede Barbara. «Non ci sono più chiese e tutte le attività sportive si sono interrotte, insomma non è più la Finale Emilia che conoscevamo» rincara Alice. I ragazzi sono stati gli ultimi a rientrare ed è difficile che ammettano quello che i genitori ti dicono subito: «Prima avevo il sonno pesante, ora mi sveglio di continuo» spiega Mario mentre indica all’operaio a quali porte fissare le nuove maniglie: «sa, mettiamo quelle che si aprono più facilmente, non si sa mai!» La paura si esorcizza ridendoci su. Il carattere solare di queste genti non consente di piangersi addosso - «ma l’appello di Napolitano non l’ho capito perchè una cosa è non piangersi addosso e un’altra abbandonare l’Emilia terremotata al suo destino, mentre, per la prima volta in secoli e secoli, ha bisogno di una mano» puntualizza Gloria - e porta a ricordare solo il meglio di questi due mesi. «Abbiamo dormito per qualche tempo in tendopoli e meno male che c’era posto in tenda perché rientrare in casa durante lo sciame sismico era impensabile - spiega Gloria -, ci siamo adattati alla promiscuità del campo anche se la doccia venivamo a farla in giardino di casa. In certi momenti non è stato facile convivere con tanta gente di diverse etnie, ma abbiamo riscoperto la capacità di parlarci, stare insieme. Anche l’assistenza del Comune ha funzionato e dove non arrivava il pubblico i cittadini ci mettevano una disponibilità e una pazienza che prima del terremoto sarebbe stata impensabile». Qualche intemperanza c’è stata, in verità, tra italiani ed extracomunitari, ma nessuno ne parla: siamo in Emilia e l’integrazione è una bandiera da difendere anche da se stessi, dalle proprie paure ed egoismi.I Castagnoli-Salvi sono un ottimo esempio di famiglia emiliana: tra fratelli e sorelle, cognati e nipoti gli adulti sono in nove, otto dei quali lavorano nell’azienda di trasporti che sorge attaccata all’abitazione. L’unico che manca è Euro, il fratello maggiore che ha passato una vita tra bolle d’accompagnamento e montacarichi: quand’è andato in pensione sono entrati in ditta i suoi due figli. Insomma, qui il lavoro non lo ferma neanche il terremoto ed infatti la Castagnoli Trasporti non ha chiuso nè dopo la scossa del 20 nè dopo quella del 29 maggio. Anzi, ha ospitato a turno cinque aziende i cui capannoni erano inagibili. Questi prefabbricati hanno tenuto perché, spiega Marco Castagnoli, «li hanno costruiti i veneti seguendo criteri antisismici che qui non usavamo» ma dovranno comunque essere rinforzati, per raggiungere almeno il 60% del livello antisismico di legge. Senza detrazioni, e sono spese per i bilanci già rosicchiati dalla crisi. Il terremoto per alcune aziende rischia di essere il colpo di grazia, costringendo a emigrare. Anche i Castagnoli mettono in conto un calo del fatturato. «Cercheremo nuovi clienti» è la risposta del titolare. Pragmatico e ottimista, come si usa da queste parti, anche se «la sicurezza che il terremoto sia veramente finito non te la dà nessuno. Puoi solo sperare e ricominciare, ogni mattina». Spolverando ben bene l’Emilia.
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