I cumuli neri sono carbone, quelli rossi ferro. Per vederli nell’area a caldo – nei cui dintorni non si può coltivare né allevare bestiame – bisogna salire sulle colline ecologiche erette 15 anni fa davanti a Tamburi, il quartiere degli operai dell’Ilva sorto negli anni Sessanta e guardare oltre il muro di cinta. Fu il Gruppo Riva, appena acquistata la fabbrica, a volerle per proteggere la case dalla polvere dei minerali che si alza quando soffia il vento. Solo la polvere colorata è diminuita, ma non c’è protezione dal fumo delle ciminiere bianche e rosse visibili a chilometri di distanza.Per girare attorno al polo pugliese con l’auto si impiegano 20 minuti. Di conseguenza tutto, qui, si ingigantisce. Come il problema della salute di cui l’Italia si è accorta solo ora. Da mezzo secolo l’area a caldo non si ferma, il continuo ciclo di combustione e raffreddamento ha prodotto fumi, gas e polveri colpevoli di aver provocato in 13 anni nei dintorni 386 decessi, 237 casi di tumore maligno (di cui 17 in età pediatrica) e 937 ricoveri per malattie respiratorie. Nonostante il Gruppo Riva abbia rigenerato gli impianti e dimezzato l’emissione di diossina, non basta. Sull’altro versante c’è il problema lavoro. All’Ilva lavorano 12mila dipendenti più ottomila dell’indotto, 20mila persone su 200mila tarantini. In più la produzione, nel sito che rischia la chiusura per le esigenze di bonifica, può continuare fino al 2050 grazie alle vicine cave di calcare, importante per la fusione dell’acciaio. Qui, insomma, ci sono posti di lavoro per altri 40 anni.Davanti alla direzione, sull’Appia, le bandiere di Fim Cisl e Uilm segnano il luogo esatto dove fino a venerdì le due sigle sindacali, che hanno proclamato due ore al giorno di sciopero (la Fiom è contraria), bloccheranno il traffico. «Il problema della salute qui c’è sempre stato – spiega ai cancelli l’operaio Giancarlo Scio –, ma ci si ammala anche se si perde il lavoro. Siamo molto preoccupati perché se tecnicamente si ferma l’area a caldo per la bonifica (i cui impianti, secondo fonti interne all’azienda, stanno già andando al minimo
ndr) ci vogliono anni per far ripartire gli altiforni. Vuol dire chiudere». Gli fa eco il caposquadra dell’area elettrica, detta il “salotto”, Giovanni Carente. «È in ballo il futuro di 20mila famiglie. Siamo preoccupati anche per la salute, certo, ma qui non facciamo cioccolatini. Spero che governo e azienda alla fine riescano ad avviare la bonifica gradualmente senza fermare la produzione».A dissentire però, da ieri, qualcuno c’è. Si chiama Cataldo Ranieri, anche lui operaio all’Ilva e portavoce del Comitato cittadini e lavoratori liberi pensanti, che ha organizzato ieri in piazza della Vittoria una prima manifestazione a sostegno del gip Patrizia Todisco. «Abbiamo il dovere di salvare la città e i nostri figli perché noi siamo condannati a morte», ha detto. E se la sua posizione in azienda è minoritaria, ieri a difendere i magistrati in piazza c’erano mille persone, che alla Todisco (e alla magistratura) hanno dedicato pure un lungo applauso.«Temo che questo scontro tra poteri non giovi a nessuno – afferma padre Nicola Preziuso, cappellano dell’Ilva e responsabile dell’ufficio diocesano della Pastorale del lavoro – mentre si può e si deve cercare una soluzione che tuteli la salute di lavoratori e cittadini senza chiudere gli impianti». Padre Nicola, giuseppino, conosce la grande fabbrica come pochi. È arrivato nel 1979 nella parrocchia di San Giuseppe Murialdo a Tamburi, 1.500 metri dal muro di cinta del colosso. «I cumuli di minerali – afferma il cappellano – possono venire stivati, i terreni bonificati, le emissioni ridotte senza fermare gli impianti. Dio ci ha dato scienza e coscienza, nell’azienda ci sono le competenze scientifiche pere trovare soluzioni. Il gruppo Riva ha già fatto passi avanti in 15 anni anche su pressioni degli enti locali. Poiché molti disastri riscontrati oggi risalgono agli anni 60 e 70 quando lo stabilimento era statale, è giusto che il settore pubblico faccia la sua parte». E la diocesi ai primi di novembre organizzerà un convegno scientifico voluto dal vescovo in collaborazione con la pastorale sociale della Cei e il Progetto culturale. Tema: le bonifiche fatte in Germania, primo produttore siderurgico del Vecchio continente.