La bagarre esplode alle 16 e 25, quando il presidente
Pietro Grasso indice la votazione per parti separate di un emendamento di Sel che prevede l’elezione diretta del Senato. "Non si può, non si può..." è il coro che parte dai banchi di M5S e a cui si accodano anche alcuni esponenti di Sel e Lega. L’Aula di Palazzo Madama si trasforma in una curva dello stadio Olimpico. I parlamentari delle minoranze sembrano tifosi in aperta contestazione. La seconda carica dello Stato è costretta a sospendere la seduta. Gli eletti dei Cinque Stelle sono furibondi. "Grasso è palesemente schierato dalla parte del Pd. È una vergogna", accusa il vulcanico
Alberto Airola mentre si dirige verso la buvette. Il dissidente azzurro
Augusto Minzolini, seduto su un divanetto, accusa la maggioranza di poca correttezza: "Si stanno attaccando ai formalismi e ai tecnicismi perché sanno che con il voto segreto non riuscirebbero a eliminare l’elettività". Dopo pochi minuti la seduta riprende, ma i nervi restano tesissimi. Nel mirino finisce soprattutto Grasso. "È lo schiavo di Renzi", accusa
Gian Marco Centinaio, capogruppo della Lega Nord. "È un arbitro imparziale", attaccano leghisti e grillini. Il presidente minaccia espulsioni pur di riportare la calma: "Questi cori da stadio non mi sembrano adeguati. Chi non consente di parlare in aula va fuori". Lo scontro va avanti. Il capogruppo dei dem,
Luigi Zanda assicura che le proteste di M5S non intimidiranno il Pd: "Possono insultarci fin che vogliono ma noi faremo il nostro dovere fino all'ultimo minuto". Dopo oltre tre ore dall’inizio della seduta pomeridiana gli interventi continuano ancora a susseguirsi. Intanto lo stallo prosegue tra scambi di insulti ed emendamenti ritirati o riformulati. La sensazione, però, è che se si dovesse arrivare a un voto palese sull’elettività le opposizioni sarebbero pronte a dar vita a forme di protesta immediate, clamorose e plateali. "A quel punto – minacciano i Cinque Stelle - siamo pronti a scatenare il finimondo".