Uno degli ultimi sbarchi avvenuti a Roccella Jonica, in Calabria - .
Il Porto delle Grazie di Roccella Jonica è pieno di barche a vela e di pescherecci. Ma non sono di turisti o pescatori. Sono i resti degli sbarchi di immigrati giunti nella cittadina calabrese dalle rotte turche e nordafricane. Una ventina di barche tra grossi pescherecci libici e egiziani, con scritte in arabo, e velieri a uno o due alberi, senza bandiere, tranne uno sul quale sventola quella Usa. L’ultimo peschereccio è arrivato nella notte di lunedì. L’imbarcazione. molto malridotta, è stata soccorsa dalla Guardia costiera a circa 40 miglia dalla costa, a bordo 91 persone, molti bambini e una donna incinta, tutti iraniani, iracheni e siriani.
All’interno tutte le barche sono state svuotate dai trafficanti per caricare, stipare, più persone possibile, in viaggi che durano anche 4-5 giorni. Gusci vuoti, barche della speranza, il segno tangibile di un fenomeno in crescita – da giugno quasi 1.500 persone sbarcate sulle coste reggine e crotonesi –, ma trascurato. E oltre 800 sono arrivate proprio a Roccella, che di abitanti ne ha poco più di 6.700. Sbarchi che non fanno notizia, come denuncia il sindaco Vittorio Zito, alla guida di una giunta di centrosinistra. «Nessuno sbarco autonomo fa notizia. Eppure sono l’80% di tutti gli sbarchi sulle coste italiane. E quelli in Calabria sono tutti autonomi. Se non c’è una tragedia, non è notizia. Se non ci sono le Ong, non è notizia. Se arrivano 240 persone in tre giorni non fa notizia. L’accoglienza in silenzio non fa notizia. Quando qualche giornalista viene e mi dice "voi siete l’altra Calabria" io rispondo che questa è la Calabria, mentre l’altra Calabria è quella della ’ndrangheta».
Zito chiede più attenzione. Non alle Forze dell’ordine che in mare e a terra stanno facendo un superlavoro. E neanche chiede soldi, anche se i 240mila euro spesi lo scorso anno per l’ospitalità dei migranti non sono mai stati rimborsati dal governo. «E per il bilancio di un piccolo Comune come il nostro, sono una bella botta». Il sindaco, invece, chiede altro. «Siamo l’unico Comune di sbarco senza hotspot. C’è a Lampedusa e Pozzallo, e in Calabria Crotone ha il Cara di Isola di Capo Rizzuto». Che peraltro sta scoppiando dovendo ospitare anche centinaia di immigrati giunti in Sicilia, con momenti di tensione molto forte come la fuga di decine di tunisini.
Roccella Jonica ha, invece, solo un ex ospedale della Asp, abbandonato in quanto inagibile. È stato rimesso a posto con fondi del Viminale, ma solo due piani su tre. E non è sicuramente una struttura molto efficiente. Dovrebbe servire solo per il primo soccorso, al massimo 48 ore, e invece gli immigrati restano di più. Quando siamo andati a visitarlo ospitava una quarantina di iraniani, iracheni e siriani, qui da alcuni giorni. Ai quali ora si aggiungono i 91. Davanti ci sono alcune tende della Protezione civile per i positivi al Covid. E un’auto della polizia che controlla.
Ci accolgono due volontari della Protezione civile comunale, il pachistano Muzamal arrivato nel 2013 dalla Grecia con una barca e rimasto qua, ora aiuta i nuovi sbarcati come lui. Con lui la sorridente Silvana. «Siamo impegnati anche per 24 ore senza andare a casa – ci dice –. Ma sono contentissima. Sono dieci anni che faccio volontariato. Quello che mi danno gli immigrati con un sorriso è tantissimo». Non è l’unica a pensarla così a Roccella. «Mai avuto contestazioni, eppure la casa che ospita gli immigrati è al centro del paese – ci tiene a sottolineare il sindaco –. I vicini addirittura si affacciano quando arrivano nuovi immigrati e chiedono se i bambini hanno bisogno di vestitini o di qualche altra cosa». Ma il volontariato non basta. «Ho dovuto assumere due persone con contratto occasionale per lavoro a termine. Sono due immigrati e una donna. Tutto a spese nostre. Il resto lo facciamo coi dipendenti comunali, in particolare i vigili urbani».
Per questo, insiste, «devono trovare una copertura normativa, perché non c’è una norma che dice che le spese vanno rimborsate. E infatti la Prefettura paga solo i pasti e i beni di necessità». Non è una critica alla Prefettura che, sottolinea Zito, «ci sta aiutando moltissimo ed è molto attenta a quello che succede qui», quanto piuttosto alla regione e al governo. Anche perché, aggiunge, «questi arrivi non li fermerà nessuno. I porti chiusi è un concetto tecnicamente inesistente. Arrivano per aspirazione o per disperazione. Quando vedi, come è successo pochi giorni fa, una mamma con un bimbo di 4 mesi che senso ha farle un interrogatorio per riconoscerle l’asilo?». Intanto le barche riempiono in porto. Sono sotto sequestro come corpo di reato. Solo col dissequestro potrebbero essere messe all’asta o distrutte. Ma tutto va a rilento (la gestione è del Demanio) e così si accumulano, monumento al dramma dell’immigrazione ma anche all’inefficienza burocratica.