Alunni con Dsa: una sfida per tutta la scuola - Ansa
L’allarme arriva dall’Emilia Romagna, dove sono triplicati in dieci anni, ma il fenomeno accomuna tutte le scuole d’Italia: continua a crescere il numero di alunni con Disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa). Secondo gli ultimi dati diffusi dal ministero dell’Istruzione e del Merito, nell’anno scolastico 2020-2021 hanno raggiunto le 326.548 unità, arrivando a “pesare” per il 5,4% della popolazione scolastica complessiva. L’anno precedente erano 318.678, pari al 5,3% del totale, mentre nel 2010, anno di approvazione della legge 170 che ha dato diritti agli alunni con Dsa, rappresentavano appena lo 0,90% degli studenti italiani. Nel decennio successivo avrebbero continuato ad aumentare, fino a raggiungere i livelli attuali. Ma la crescita non è ancora terminata, visto che, sempre stando al report più recente del Ministero, gli alunni «a rischio Dsa» sono più di 5mila, di cui 1.391 alla scuola dell’infanzia e 3.700 nei primi due anni della primaria.
Oggi questi alunni sono “visti”...
«Ma non è una pandemia che sta avanzando», avverte Filippo Barbera, ex-alunno con Dsa, oggi insegnante di scuola primaria specializzato in Psicopatologia dell’apprendimento e formatore. Per le edizioni Erickson è uscito in questi giorni con una “guida rapida” per insegnanti delle elementari, alle prese con scolari dislessici, che delle quattro tipologie di Dsa è la più diffusa (le altre tre sono disgrafia, disortografia e discalculia). «A differenza del passato – spiega Barbera – oggi questi alunni sono “visti”. Da qui l’aumento delle certificazioni e, per fortuna, della sensibilità rispetto al fenomeno».
...ma molto resta da fare
Ancora molto resta da fare, però, visto che, una recentissima indagine dell’Associazione italiana dislessia (Aid), ha evidenziato che il 35% dei genitori e il 36% degli studenti è concorde nel dire che «i docenti non hanno un’adeguata conoscenza di che cosa siano i Disturbi specifici dell’apprendimento». E ancora. Nonostante nel 97% dei casi sia redatto il Piano didattico personalizzato, che per l’83,3% è «molto o abbastanza coerente con le indicazioni contenute nella diagnosi», succede che i due terzi degli alunni con Dsa dichiarino che il Pdp «non sempre è stato rispettato nel percorso scolastico». E anche le famiglie «non sono sufficientemente coinvolte nella stesura del documento».
«Serve una forte alleanza con la famiglia»
«La dislessia non è una porta murata, ma una porta chiusa a doppia mandata: bisogna trovare la chiave», sintetizza Barbera. Che ricorda come questo lavoro di ricerca debba essere svolto, in alleanza, dalla scuola e dalla famiglia. «Se c’è collaborazione, se c’è buona comunicazione, tutto è più semplice – avverte l’esperto –. L’alleanza scuola-famiglia è fondamentale per il benessere del bambino dislessico: se non c’è intesa, il piccolo può ricevere messaggi disturbanti e vivere questa situazione persino con sensi di colpa».
Consigli per insegnanti
Nel libro fresco di stampa, Barbera non manca di segnalare alle insegnanti «cosa fare e non». «Per i docenti – ricorda – è fondamentale non partire prevenuti: anche il bambino dislessico ce la può fare benissimo. In secondo luogo, è necessario essere sensibili e attenti al livello di velocità di lettura dell’alunno dislessico, per poter valutare la migliore strategia da adottare. Infine, tra le cose da fare, c’è, di nuovo, la collaborazione con la famiglia. Altrimenti il problema rischia soltanto di amplificarsi. E a soffrire è il bambino. Tre, invece, le “cose da non fare” – aggiunge Barbera –. Al primo posto: non criticare il bambino, non assumere un atteggiamento giudicante. Secondo: non farsi influenzare dalla propria opinione. Gli psicologi lo chiamano “effetto Pigmalione”: se mi aspetto che l’alunno non ce la faccia, è quasi sicuro che non ce la farà. Se mi aspetto poco da lui, mi impegno poco. E non va bene. Infine, terza cosa da non fare: pensare che tutto si possa risolvere dando all’alunno la possibilità di utilizzare il computer. Prima di arrivare alla sintesi vocale, si possono mettere in campo tante altre strategie».
Che Barbera illustra nel suo libro, ben sapendo che «non esistono ricette facili» per una problematica tanto complessa.
«Scrivo ciò che ho vissuto sulla mia pelle – sottolinea l’insegnante, ex-alunno con Dsa –. Ho avuto una diagnosi precoce, ho incontrato insegnanti sensibili e sono stato sostenuto da una famiglia attenta. Questi tre elementi hanno fatto la differenza nel mio percorso di formazione. A sua volta, il mio percorso di formazione mi ha spinto a testimoniare che imparare con più difficoltà non significa non essere in grado di apprendere. La vera sfida – conclude Barbera – sta nel concretizzare un’azione didattica che permetta gradualmente di consolidare le capacità e di superare le difficoltà dell’alunno». Una sfida da vincere insieme.