A botta calda, giovedì, aveva espresso «rispetto per la sentenza». Ieri, da uomo delle istituzioni, il capo della Polizia Antonio Manganelli ne ha tratto le inevitabili conseguenze, disponendo tempestivamente nuove nomine per avvicendare le figure di vertice condannate, ma producendosi anche in un
beau geste non richiesto, che gli fa onore. In un Paese nel quale molti compiono errori ma di rado li ammettono, il prefetto ha affidato ai media una nota di scuse diretta a coloro che, fra le pareti della Diaz, vennero massacrati di botte durante la perquisizione, ma anche a tutti quei cittadini che nel corretto agire della Polizia di Stato hanno sempre riposto fiducia, anche in presenza di fatti gravi a carico di alcuni: «Ora, di fronte al giudicato penale – scrive il prefetto –, è chiaramente il momento delle scuse. Ai cittadini che hanno subito danni e anche a quelli che, avendo fiducia nell’Istituzione-Polizia, l’hanno vista in difficoltà per qualche comportamento errato ed esigono sempre maggiore professionalità ed efficienza». Nella nota Manganelli ribadisce l’orgoglio di «essere il Capo di donne e uomini che quotidianamente garantiscono la sicurezza e la democrazia di questo Paese» e chiarisce perché si sia attesa la Cassazione per decidere l’avvicendamento: «Rispetto il giudicato della magistratura e il principio costituzionale della presunzione d’innocenza dell’imputato, fino a sentenza definitiva. Per questo, l’istituzione che ho l’onore di dirigere ha sempre ritenuto fondamentale che venisse salvaguardato a tutti i poliziotti un normale percorso professionale, anche alla luce dei non pochi risultati operativi da loro raggiunti».Fra le righe s’intuisce, ancora una volta, la stima professionale e umana di Manganelli per i poliziotti condannati, a partire dal prefetto Franco Gratteri, ex-numero uno della Direzione anticrimine centrale (Dac) e dal dirigente superiore Gilberto Caldarozzi, già direttore del Servizio centrale operativo (Sco), punte di diamante nella lotta alle mafie e alla criminalità in virtù di una straordinaria carriera di investigatori, che le condanne d’appello (rispettivamente a 4 anni e 3 anni e 8 mesi, con pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per un quinquennio) confermate dalla Cassazione non potranno comunque cancellare. Per rimpiazzarli, ieri il capo della Polizia ha designato il prefetto Gaetano Chiusolo, in Polizia dal 1978, già a capo dell’ufficio ispettivo e ora nuovo direttore della Dac, e il dirigente superiore Maria Luisa Pellizzari, in uniforme dagli anni Ottanta e fino a ieri direttore della Polizia stradale, ora alla guida dello Sco.Le scuse pubbliche e le nomine tempestive di Manganelli sono state accolte con favore dal “Comitato verità e giustizia per Genova”, composto dalle famiglie delle vittime dei pestaggi, che avevano chiesto anche l’allontanamento dei responsabili dalla Polizia: «Parole chiare, un segnale positivo», ha detto Enrica Bartesaghi, presidente del Comitato e madre di Sara, ferita nella scuola e poi arrestata. Anche il segretario della Cgil, Susanna Camusso, ha apprezzato il gesto del prefetto Manganelli, pur stigmatizzando i tempi dilatati della vicenda processuale: «Aspettare 10 anni per avere giustizia è un tempo molto lungo». Sulla stessa linea la sinistra extraparlamentare, che da anni attendeva una conclusione giudiziaria sulla «macelleria messicana» della Diaz: «Scuse positive, anche se tardive. Perché parole analoghe non arrivano dall’ex capo della Polizia De Gennaro? Non ha nulla da dire chi era al vertice undici anni fa?», commenta il segretario del Prc, Paolo Ferrero, che insieme a Nichi Vendola, di Sinistra e libertà, chiede che si inserisca «nel Codice Penale, dopo 24 anni dalla ratifica della Convenzione Onu, il reato di tortura». Diverso il punto di vista del centrodestra, che con Fabrizio Cicchitto (Pdl) ritorna sulla sentenza della Cassazione: «Lascia l’amaro in bocca, perché se è indubbio che alla Diaz e a Bolzaneto furono appunto commessi errori molto gravi, è invece dubbio che siano stati colpiti gli autentici responsabili di quei fatti».