Milano: l'arcivescovo Mario Delpini e il sindaco Beppe Sala - Fotogramma
«Forse i milanesi sono indotti dalla cronaca gridata a temere che i profughi, i rifugiati, siano l’invasione da respingere, perdendo il senso delle proporzioni e il buon senso della solidarietà. In realtà l’invasione più temibile potrebbe essere quella di capitali anonimi, di quantità di denaro che vengono da chi sa dove e da chi sa che storia ingiusta». È uno dei passi dell’intervento tenuto ieri sera in Consiglio comunale dall’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, che ha suscitato l’applauso dell’aula. Non l’unico.
“Alleanze per il bene della città e per il suo futuro” era il titolo della sua riflessione, condivisa al termine di un incontro che si è offerto come occasione di dialogo col mondo della politica e con la comunità finanziaria riguardo alla sfida di rendere più inclusiva una Milano che vede invece crescere povertà e disuguaglianze. Un incontro, quello di Palazzo Marino, che l’arcivescovo considera tappa, sia pure non programmata, della visita pastorale a Milano conclusa lo scorso giugno – e alla quale il presule dedicherà un messaggio che conta di pubblicare il 4 novembre in occasione della festa di San Carlo Borromeo.
Prima di lui erano intervenuti la presidente del Consiglio comunale, Elena Buscemi, che ha promosso l'incontro, il sindaco di Milano Giuseppe Sala e Elena Beccalli, preside della Facoltà di Scienze Bancarie, Finanziarie e Assicurative dell’Università Cattolica di Milano, che ha interagito con i presidenti di cinque grandi realtà bancarie italiane: Augusto Dell’Erba, presidente di Federcasse; Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa Sanpaolo e vicepresidente vicario Abi (Associazione bancaria italiana); Flavia Mazzarella, presidente di Bper Banca; Pier Carlo Padoan, presidente di Unicredit; Massimo Tononi, presidente di Banco Bpm. Dopo di loro, spazio ai rappresentanti dei gruppi consiliari. A concludere i lavori, la riflessione di Delpini.
Mettendo a fuoco ruolo e missione degli amministratori pubblici e delle banche – come di tutti i cittadini che si sentono responsabili del bene comune – il presule li ha paragonati a “sentinelle”, a “custodi”, ad “artigiani della manutenzione” e a “seminatori di futuro”. A queste “sentinelle” Delpini ha posto una questione cruciale: a Milano «entrano molti soldi. Ma sono amici o sono nemici della città?». Ebbene: «in città c’è denaro sporco – ha ripreso l’arcivescovo –, denaro che viene da traffici illeciti, denaro che si insinua nelle situazioni di indebitamento che non trovano accesso al credito e perciò si aprono alla tentazione seducente del denaro prontamente disponibile, come un frutto avvelenato che avvelena poi l’azienda, il negozio, la famiglia. Il denaro sporco è a servizio della prepotenza della malavita organizzata e si insinua là dove gli enti pubblici consentono a zone grigie, a burocrazie ingarbugliate».
Con questo nemico non basta l’azione repressiva delle forze dell’ordine: serve formare «una coscienza civica che distingue il bene dal male». E l’amministrazione pubblica vi ha un ruolo decisivo. Le banche devono dare «l’allarme per prevenire le forme di sovraindebitamento, per non rendersi inaccessibili a chi ha bisogno di un aiuto per risollevarsi». La comunità cristiana, dal canto suo, «vigila e dà l’allarme offrendo quell’aiuto simbolico che è la Fondazione San Bernardino per contrastare l’usura».
Ci sono però altri «segni» che chiamano le sentinelle a vigilare e dare l’allarme: sono i «segni inquietanti di un sistema che scricchiola, forse incombe una tempesta disastrosa. Si dice che il sistema del neo liberismo fondato su un individualismo presuntuoso si riveli insostenibile», scandisce il presule. «Le disuguaglianze create si rivelano insopportabili. Si annuncia forse il crollo di un sistema». Perciò politica e banche sono chiamate a farsi custodi della città. Dunque ad « agire con spirito di servizio perché il patrimonio che devono custodire non è un accumulo di cose, case, capitali, ma un bene relazionale», è «la convivenza civile che rende abitabile la città e desiderabile essere cittadini». Ecco perché il tema «del divaricarsi della forbice» fra ricchi e poveri «è tanto grave» da far pensare – ha sottolineato Delpini citando l’economista Joseph Stiglitz – che un capitalismo che non si riforma, arriverà a divorare se stesso. E ad innescare quella «crisi del sistema democratico» che «porta al populismo, esito estremo dell’individualismo».
Altro passo: essere «artigiani della manutenzione», che «non dimenticano l’orizzonte globale» ma non rinunciano al «gesto minimo». Questi “artigiani” sono «quegli uomini e quelle donne, quelle istituzioni e quelle associazioni, quelle presenze vive e creative della società civile che formulano progetti, che presentano proposte, chiedono finanziamenti, partecipano a bandi».
Infine: politici e banche, come “seminatori di speranza”, sono chiamati a non chiudere il loro orizzonte alle prossime elezioni o al prossimo bilancio. Ci sono priorità e sfide da condividere. Delpini ne ha suggerite due che gli stanno particolarmente a cuore: «la generazione giovanile, così problematica», alla quale dare «buone ragioni per desiderare di diventare adulti»; e la questione demografica, «la situazione di desolazione di una città che sembra non desiderare i bambini e sentire fastidio per gli anziani». È tempo, ha concluso il presule fra gli applausi dell’aula, di «seminare un pensiero, un sentire che consideri i bambini non una spesa, non un intralcio, ma un investimento e una promessa, e ne favorisca il compimento».