Esiste un grosso problema per chi è guarito da un tumore: la burocrazia. Che lo considera ancora un malato negandogli così alcuni diritti. Perché se vuole ottenere un mutuo, stipulare un’assicurazione sulla vita o un contratto di lavoro, ma anche se intende adottare un figlio o accedere a certi servizi pubblici, è obbligato a dichiarare se ha avuto un cancro e per questo rischia di essere penalizzato. È accaduto, per esempio, che al ritorno al lavoro l’ex malato di tumore abbia scoperto di essere stato spostato in un altro settore o demansionato, se non addirittura licenziato. Non basta, dunque, essere usciti dall’incubo della terribile malattia, con tanto di certificato medico, per diventare uguale agli altri. Il cancro diventa un’etichetta che può rimanere attaccata addosso per sempre.
Il problema in Italia riguarda oltre un milione di persone. E si tratta di discriminazioni sociali che possono incidere non poco nella loro vita quotidiana e nel futuro di altrettante famiglie. È per questo che Fondazione Aiom (Associazione italiana di oncologia medica) ha lanciato una campagna nazionale, anche social, per il riconoscimento del “diritto all’oblio oncologico”. Si chiama “Io non sono il mio tumore”. L’obiettivo è di ottenere una legge di iniziativa popolare che tuteli chi ha avuto una neoplasia e per questa ragione non può usufruire a pieno dei diritti che gli spettano. Per chiedere una specifica normativa bisogna raggiungere 100mila firme da presentare al presidente del Consiglio dei ministri. Tutti potranno contribuire lasciando il proprio nome, sia sul web (dirittoallobliotumori.org) che nei reparti di oncologia degli ospedali e nelle piazze: impegnati in prima linea, con le associazioni, caregiver, familiari, cittadini e pazienti. Il portale offre inoltre ai pazienti la possibilità di raccontare la propria storia, per mettere in luce il problema e condividere le esperienze. Oggi sono 3,6 milioni gli italiani che vivono con una diagnosi di tumore. Il 27% di loro, circa un milione, è guarito.
La legge permetterebbe di non essere più considerati pazienti dopo 5 anni dal termine delle cure se la neoplasia è insorta in età pediatrica e dopo 10 se ci si è ammalati in età adulta. Un simile provvedimento è in vigore da tempo anche in Francia, Lussemburgo, Belgio Olanda e Portogallo. A illustrare la proposta, ieri a Roma, Antonella Campana di IncontraDonna, Monica Forchetta di Apaim Associazione Pazienti Italia Melanoma e Ornella Campanella di aBRCAdabra, componenti del consiglio di amministrazione di Fondazione Aiom presieduto da Giordano Beretta.