Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella - Quirinale / Ansa
È il tempo, per Sergio Mattarella, di porre rimedio alla «degenerazione del sistema correntizio» e all’«inammissibile commistione tra politici e magistrati», dinamiche già denunciate dal capo dello Stato (e presidente del Csm) nelle opportune sedi istituzionali un anno fa, sul nascere del “toga–gate”. Ma è anche il tempo – anzi doveva già essere prima, avendolo già Mattarella sollecitato a suo tempo – per la politica e l’organo di autogoverno dei magistrati, di non nascondersi più dietro un dito e mettere mano alle «modifiche normative di legge e di regolamenti interni per impedire costumi inaccettabili». Ed è soprattutto il tempo, per il Parlamento, di «approvare una adeguata legge di riforma delle regole» del Consiglio superiore della magistratura. Organo costituzionale che il capo dello Stato non può sciogliere con una «valutazione discrezionale», per rispondere a chi – Matteo Salvini in testa – glielo aveva chiesto negli ultimi giorni.
È una nota lunga e articolata, quella del capo dello Stato. È dura nella denuncia dei malcostumi “spartitori”. Ha il sapore del monito, benché il presidente non ravveda – per ora – l’esigenza di un messaggio formale alle aule. Ma è anche un chiarimento a chi lo “tira per la giacca” per via delle ultime intercettazioni. Mattarella spiega – ed è indirettamente una risposta a Salvini – perché non può sciogliere il Csm.
Il Consiglio, ricorda, «può essere sciolto in anticipo soltanto in presenza di una oggettiva impossibilità di funzionamento, che si realizza, in particolare, ove venga meno il numero legale». In tal caso il capo dello Stato convocherebbe nuove elezioni entro un mese. Al momento non ci sono queste condizioni. E, avverte Mattarella, se anche dovessero esserci adesso dimissioni in massa di consiglieri, le elezioni si svolgerebbero con le stesse regole che i partiti considerano causa di tutti i mali. Diverso sarebbe lo scenario – si può desumere – se il Parlamento facesse la riforma: in tal caso, con regole nuove che frenano i “patti correntizi”, l’attuale Csm potrebbe valutare autonomamente di cedere il passo.
Motivo per cui, scrive quasi con irritazione Mattarella, se i partiti «sono favorevoli a un Csm formato con criteri nuovi e diversi, è necessario che approvino una legge: questo compito non è affidato dalla Costituzione al presidente della Repubblica, ma al governo e al Parlamento». Al Colle compete il vaglio di costituzionalità, soprattutto sul principio dell’autonomia del potere giudiziario. Per il resto Mattarella può solo esprimere l’auspicio che si arrivi «in tempi brevi» a una riforma che «unitamente al decisivo piano dei comportamenti individuali restituisca all’ordine giudiziario prestigio e credibilità».
Il Quirinale infine declina la richiesta – ancora di Salvini e del centrodestra – di intervenire nel dibattito «politico e giornalistico» sulle intercettazioni con giudizi sul leader della Lega. «Per quanto gravi e inaccettabili possano essere considerate – spiega Mattarella –, sono in corso un procedimento penale e diversi procedimenti disciplinari e qualunque mia valutazione potrebbe essere strumentalmente interpretata come una pressione». Tra l’altro un eventuale scioglimento del Csm rallenterebbe i procedimenti disciplinari e rischierebbe di farli decadere. Insomma, “sciogliere” non è nemmeno nell’interesse di Salvini.
Alla richiesta di accelerare i tempi, governo e partiti rispondono però in modo blando. Nel Pd, il partito più in imbarazzo, regna il silenzio. Per il governo (e per M5s), il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede assicura che la strada indicata dal Colle «è la migliore, la stessa che seguiamo noi». Se «le forze politiche hanno qualcosa da dire possono fare una riforma», è la sfida (più che invito alla collaborazione) del Guardasigilli. Un nuovo vertice di maggioranza è previsto mercoledì alla presenza del premier Conte. La prospettiva è portare un ddl–delega venerdì in Cdm. Si parla di un nuovo plenum di 30 consiglieri (più i 3 di diritto), 20 togati e 10 laici, con magistrati eletti in collegi più piccoli e con un sistema misto maggioritario–proporzionale a due turni, e con una chiara divisione interna tra chi si occupa del disciplinare e gli altri consiglieri.