martedì 22 ottobre 2013
​Il segretario della Cei denuncia: le condizioni all'interno del carcere «rendono spesso molto difficoltosa l'attuazione di percorsi realmente rieducativi». E sollecita un'attenzione particolare per le madri con figli piccoli, i minori detenuti e gli stranieri.
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Da troppi anni nelle carceri italiane "si vivono gravi problematiche, prima fra tutte quella del sovraffollamento, che determina condizioni di vita disagiate e spesso ai limiti della sopportazione umana". Lo ha detto il segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata, parlando ai cappellani delle carceri."Si ha l'impressione - ha detto - che la questione della condizione di vita dei detenuti, oltre a quella dei progetti di recupero e di reinserimento e dei relativi investimenti, non venga mai affrontata con la necessaria determinazione e progettualità"."Le condizioni di vita all'interno del carcere - ha ricordato Crociata - rendono spesso molto difficoltosa l'attuazione di percorsi realmente rieducativi. In questo senso chi opera nei penitenziari è chiamato a vigilare sull'ambiente di vita dei detenuti e, quando necessario, a sollecitare le autorità competenti"."Un caso particolare - ha osservato - è quello delle donne, specialmente se, come avviene nella maggioranza dei casi, sono madri. Queste situazioni presentano caratteristiche diverse e per vari aspetti problematiche, se la prole ha pochi anni di vita o se vive insieme alla madre, come si verifica in svariate decine di casi nel nostro paese. Tali situazioni meritano una particolare attenzione pastorale, oltre a richiedere una soluzione più adeguata sul piano legislativo, organizzativo e logistico". "Un peculiare contesto - ha aggiunto - è anche quello delle carceri minorili che, per la delicata missione di accompagnare e rieducare dei ragazzi, dovrebbero essere dotate di strutture e progetti più adeguati".Altro elemento "debole" all'interno delle carceri sono, secondo monsignor Crociata, gli stranieri, "ormai più del 35% del totale dei detenuti", la "cui situazione è particolarmente dura a causa della lontananza dalla famiglia e dalla patria, oltre che dalle esigue risorse economiche. Contestualmente, vi è una maggiore presenza di non cristiani, e soprattutto di musulmani, ai quali si deve assicurare un'assistenza non inferiore a quella riservata ai battezzati, senza scoraggiarsi davanti al rifiuto, ma cercando comunque di testimoniare disinteressatamente la buona notizia del Vangelo".

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