domenica 7 febbraio 2021
Il drammatico racconto-testimonianza del rianimatore Giovanni Albano e del suo paziente, Giorgio, lungo il tunnel della malattia
Coronavirus: così lo "tsunami" ci ha travolto un anno fa
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«Non so quando finirà ma so che finirà. Quando questo accadrà chi è ammalato capirà tante cose e chi ha curato sarà un medico o un infermiere migliore»; l’aveva scritto in un intervento su Avvenire il dottor Giovanni Albano, responsabile di Anestesia e rianimazione all’Humanitas Gavazzeni di Bergamo. Era l’8 marzo 2020, la città e le sue strutture sanitarie stavano per essere travolte dallo tsunami del virus. Il dottor Albano ha proseguito le sue riflessioni e in questi giorni esce il suo libro, 'I giorni più bui' (Piemme, pagg. 256, euro 17,90), un drammatico e intenso racconto-testimonianza a due voci, la sua e quello di un paziente, Giorgio, lungo il tunnel della malattia.

Si comincia il 24 febbraio, quando viene ricoverato il primo paziente positivo. Il nemico «è arrivato. Non bussa, non chiede permesso, si accomoda con arroganza e prepotenza, consapevole del suo potere e della sua silenziosa cattiveria. Ti guarda negli occhi e dice: 'Tocca a te'. Ce lo abbiamo in casa. Inizia la guerra».

La vita del medico viene risucchiata in un vortice, il pronto soccorso diventa una «terra di dolore», «un frastuono di voci, lamenti, rumori ovattati. Il mio sguardo si perde e attraversa, un mare di umanità sdraiata, le barelle come barche su un mare piatto. Nessuna richiesta di aiuto, la maggior parte delle braccia accovacciate sotto coperte gualcite a lasciar fuori il capo e una mascherina per l’ossigeno. Mi sento tormentato dal fatto di non conoscere nessuno tra quei viandanti venuti al nostro u- scio, estranei colti da una notte di tempesta inaspettata». Parallelo al racconto del primario c’è quello di Giorgio, un malato poco più che 40enne, che i sanitari faranno di tutto per salvare e che nel libro assurge a simbolo dell’esistenza interrotta di migliaia di persone e nello stesso tempo del rapporto di solidarietà che si crea con chi cura.

A colpire il medico è la lucidità dei pazienti. «Hanno tutti una gravissima caduta dei valori di ossigeno nel sangue, ma mantengono una inusuale lucidità: fino a che possono, sanno perfettamente dove sono e cosa sta accadendo, si premurano di chiederci di avvisare i familiari. Ma questa loro consapevolezza, questa vigilanza costante ci devasterà, lascerà solchi e cicatrici profonde, ricordi, scambi di sguardi, la testimonianza dell’inaccettabile sofferenza di chi non sa perché è toccato proprio a lui».

Intanto Giorgio, nei capitoli alternati in cui è protagonista, peggiora, viene intubato, sopporta un intervento chirurgico al polmone e osserva tutto dal suo letto d’ospedale, aggrappandosi al pensiero della sua famiglia e affidando la vita ai medici.

Il libro è un viaggio nell’anima, perché il Covid sembra essere anche una fonte di insegnamenti sul senso dell’esistenza: come si affronta la morte di tanti pazienti? Lo spiega il dottor Albano a metà marzo: «Raimondo se n’è andato rapidamente, come ne ho visti molti, a seguito di un tracollo che non lascia scampo, un’impotenza che annienta i pazienti, ma anche chi li cura. Non saprò mai che tipo fosse, Raimondo, se una persona innamorata della vita, eccentrico e originale come la sua sciarpa, oppure un uomo tranquillo, ordinario, un uomo che non voleva altro che vivere in pace. Non ha voluto svelarcelo, chiudendosi nel suo dignitoso silenzio, il suo modo di ribellarsi a un destino cui non voleva rassegnarsi».

Il 20 marzo la prima svolta: accade che un paziente venga dimesso dalla terapia intensiva. È Antonio, «un uomo non giovanissimo che da subito ha chiarito che lui al mostro non avrebbe dato tanta soddisfazione. È rimasto tenacemente attaccato alla speranza di migliorare, ed è effettivamente migliorato, giorno dopo giorno. Quando l’abbiamo svegliato, il suo torace non sussultava in maniera irregolare, come quello di molti altri sfortunati, ma si è mosso da subito come se si fosse ripreso completamente dalla grave polmonite. Poi, con un po’ di coraggio, abbiamo deciso di togliere quel tubo e lui, incrollabile Antonio, ha respirato alla grande, regalandoci un’enorme soddisfazione. Oggi sarà dimesso, oggi vince la sua battaglia. Il mostro non è imbattibile, può essere sconfitto. Possiamo farcela».

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