Sani e salvi. La "buona pratica" dei corridoi umanitari ha portato in Italia dalla Libia 95 profughi, dribblando trafficanti e marosi, con ingressi programmati e percorsi sperimentati di accoglienza e integrazione. Un flusso da incrementare, chiedono i promotori dei corridoi, di fronte alle crisi nel mondo che quest’anno hanno portato alla cifra record di 100 milioni il numero di sfollati e profughi.
A sbarcare giovedì sera a Fiumicino sono stati 95 richiedenti asilo, provenienti dai campi di detenzione della Libia, dove sono stati vittime di torture e altri maltrattamenti. Gli occhi spalancati, il sorriso incredulo di chi spera di non svegliare da quello che sembra un sogno, sono originari di paesi africani (tra cui Sud Sudan, Eritrea, Etiopia e Somalia, Camerun) e dalla Siria. Il corridoio non li ha solo portati in Italia in sicurezza, ma li conduce in diverse regioni italiane (tra cui Lazio, Sicilia, Emilia Romagna, Toscana e Liguria) dove saranno stati accolti da parrocchie, associazioni, famiglie.
Un arrivo reso possibile da un protocollo firmato dai ministeri dell'Interno e degli Esteri, da Acnur, Comunità di Sant'Egidio, Fcei (Federazione delle chiese evangeliche in Italia) e Tavola Valdese, prevede un totale di 500 profughi accolti nel nostro paese. Ieri mattina molti di loro erano nella sala conferenze di Sant’Egidio a Trastevere, dove hanno avuto il benvenuto ufficiale dal presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo: dalla portavoce in Italia dell’Agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati, Carlotta Sami; dal presidente della Fcei Daniele Garrone.
«La vostra sofferenza - ha detto Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio - ha messo in atto azioni importanti come quella dei corridoi umanitari, un grande modello che potrebbe essere allargato anche agli Stati Uniti - ha rivelato - e ne ho parlato ieri con la speaker della Camera dei rappresentanti americana Nancy Pelosi, un modello possibile perchè c'è un coinvolgimento della società civile». Impagliazzo ha voluto ringraziare tutte le realtà impegnate ormai da anni nel progetto dei corridoi umanitari: «Ringrazio la Cei, l’Acnur, la Fcei, i Valdesi, Msf che ci aiutano a ridurre il rosario di tragedie che abbiamo visto ripetersi a Melilla come in Texas».
«Chiediamo alle forze politiche - è stato quindi il suo appello - di considerare con grande urgenza la possibilità di reinserire la figura del Garante dell'immigrazione, cancellata nel 2002 dalla Bossi-Fini: abbiamo bisogno di mobilitare le forze della società civile per allargare le vie umanitarie e legali; di allargare lo strumento dei corridoi umanitari anche ai migranti economici, che aumenteranno per la guerra in Ucraina che sta impoverendo i paesi africani». Sant’Egidio chiede anche «di allargare il concetto di ricongiungimento familiare, che è essenziale per l'integrazione. Infine, chiediamo al governo di allargare il decreto flussi, già ampliato a 76.700 ingressi, ma che non risponde ancora ai bisogni del sistema Italia, in grave deficit di lavoratori».
Daniele Garrone, presidente della Federazione delle Chiese evangeliche, ha detto che «non bisogna scambiare quello che facciamo per la vocazione di alcune anime pie. No, è un modo ragionevole e sensato per affrontare questa emergenza. E l’Europa ha carte costituzionali che impegnano le nostre nazioni. Lo sguardo aperto a questa tendenza globale non è solo per chi vuole seguire Gesù, ma anche per la vocazione culturale delle nostre costituzioni». Garrone ha constatato con amarezza come la resistenza delle istituzioni ad allargare i numero degli ingressi ufficiali si annulla quando i profughi scappano dall’Ucraina e vengono accolti a milioni.
«Nel mondo a giugno di quest'anno - ha denunciato Carlotta Sami, portavoce dell'Acnur - abbiamo varcato la soglia tragica e terribile dei 100 milioni di persone costrette a lasciare le proprie case tra sfollati e rifugiati, è una cifra record che non era mai stata registrata». Di fronte a questa emergenza umanitaria «una delle soluzioni più efficaci è aprire vie sicure: come i corridoi umanitari, i reinsediamenti, le riunificazioni familiari, i corridoi universitari» sottoscritti da 40 atenei italiani: «Solo il 4% dei profughi arriva all’università». E davanti ai 100 milioni di profughi, dice la portavoce dell'agenzia Onu, stride fortemente il numero di posizioni disponibili per il reinsediamento offerte nel mondo, solo 20 mila prima della pandemia. «Anche l'Italia - ha fatto sapere - si è impegnata con 700 posti poi altri 700 che però non sono mai arrivati».