Un inno convinto all’omogenitorialità. Per un bambino avere due papà o due mamme – invece di una 'normale' coppia con una mamma donna e un papà uomo – non fa alcuna differenza. Non si può ancora affermare che sia meglio, però la strada tracciata. E non si sa quanto il solco vada in direzione della verità e del rispetto. Lo cantano in coro gli psicologi italiani nell’ultimo numero della più autorevole rivista di settore, 'Il Giornale italiano di psicologia', edito dal Mulino. Uno studio di circa 200 pagine, arricchito da venti contributi di altrettanti specialisti.
L’articolo principale è firmato Vittorio Lingiardi e Nicola Carone. Il primo, psicanalista e docente di psicologia alla Sapienza di Roma, da una decina d’anni si dedica quasi esclusivamente allo studio dell’omosessualità e alla difesa dei diritti sociali e politici delle persone lgbt. Alla fine del lungo excursus sul tema, tocca ancora a lui, rispondendo ai colleghi, tracciare l’esito dell’amplissimo approfondimento presentato dalla rivista.
E i toni sono molto soddisfatti: «Su 19 commenti, 18 complessivamente concordano nel ritenere che il genere e l’orientamento sessuale dei genitori non siano di per sé fattori di rischio per la stabilità e il benessere psicologico dei figli». Insomma, è arrivato il momento di riconoscere che le «famiglie sono sempre state complesse e non possiamo più considerare come unica configurazione di riferimento la famiglia nucleare formata da due genitori eterosessuali ». Sentenza pronunciata. Gli psicologi italiani si sono espressi a favore della 'doppia mamma' o del 'doppio papà'. Il verdetto però non è stato unanime: 18 su 19. Chi ha avuto il coraggio di cantare fuori dal coro? L’autore della 'stecca' risponde al nome di Vittorio Cigoli, già docente di psicologia all’Università Cattolica e clinico di fama.
All’attivo un elenco di stu- di sul 'familiare' che conta centinaia di titoli. Come mai uno studioso del suo calibro, abituato ad esprimersi al di fuori dell’ossequio al pensiero dominante, sia finito nel gruppo dei corifei dell’omogenitorialità, è un fatto sul quale lui stesso si interroga. «Sono stato invitato dal direttore della rivista a portare il mio contributo ma – sottolinea – nessuno mi aveva detto che sarei stato l’unico ad esprimere una tesi dissonante». Anche perché nell’ambito della ricerca psicologica è difficile trovare blocchi così mono-litici e pareri tanto uniformi. E poi, fa notare ancora Cigoli, 'Il Giornale italiano di psicologia' offre solitamente approfondimenti di altissimo livello scientifico, nel rispetto di tutte le opinioni. Omogenitorialità a parte, su cui evidentemente non si può dissentire.
A rendere tutta l’operazione sfacciatamente propagandistica e quindi ad inquinarne il tasso di scientificità, contribuisce molto la già menzionata replica finale a cura dello stesso Lingiardi. Lo psicanalista, dopo aver distribuito lodi e sottolineature soddisfatte ai 18 colleghi che hanno avuto il merito di allinearsi alle sue tesi, bacchetta invece Cigoli. L’unico dissenziente. I punti del contendere sono soprattutto due: le ricerche che negli ultimi decenni si sono occupate della 'qualità' dei genitori omosessuali e la confusione – che Cigoli rileva nelle argomentazioni di Lingiardi – tra educazione e generatività. Il paladino dell’omogenitorialità, nello studio presentato in apertura di rivista, mette in fila decine e decine di ricerche nordamericane e le legge tutte dallo stesso verso. Favorevoli, naturalmente. Ammette che la maggior parte si riferiscano a madri lesbiche, escludendo di fatto dagli studi i padri gay, ma il particolare non basta a inclinare le sue certezze.
È arrivato il momento di fare i conti – conclude – a livello psicologico, giuridico, storico e simbolico, «con la varietà delle costruzioni familiari e con una concezione di genitorialità meno vincolata ai ruoli sessuali e di genere». E qui scatta l’obiezione di Cigoli. Contesta l’attendibilità dei campioni di ricerca e mette in luce come la maggior parte di quei dossier siano stati prodotti da studiosi «che sono al contempo persone militanti sul tema dei diritti lgbt». Non solo, fa notare che le tante ricerche prese a modello per sostenere la tesi della «nessuna differenza» siano esclusivamente concentrate sugli aspetti educativi ignorando il tema della generatività, cioè i rischi collegati alla mancanza anche simbolica dell’altro genere. Senza considerare che esistono poi altri problemi non aggirabili. «Un neonato affidato a coppie omosessuali – scrive il docente della Cattolica citando proprio una delle ricerche più accreditate – ha solo l’1% di probabilità di crescere fino a 18 anni con lo stesso partner del genitore».
Apriti cielo. Lingiardi lo accusa di aver equivocato, lo invita a rileggere gli studi nell’ottica corretta – cioè politicamente corretta – e lo esorta a non vedere il difetto nell’occhio altrui, quando si «è ciechi sul proprio». Risultato? Messo sulla graticola dalla macchina propagandistica organizzata dai suoi stessi colleghi, Cingoli ha inviato una lettera di protesta alla direzione della rivista – verrà pubblicata sul prossimo numero – in cui, sul filo dell’ironia, contesta il dominio del pensiero unico e rivendica la libertà della ricerca. Che dev’essere anche libertà di esprimere riserve sull’omogenitorialità, «senza rischiare l’accusa di omofobia o di pregiudizio culturale».