I legami s’indeboliscono o si rafforzano nei social network? È la domanda cui risponde la ricerca, coordinata da Lucia Boccacin e al centro del convegno "Legami sociali e stili comunicativi di comunità", che l’Università Cattolica di Milano ha finanziato come "progetto di rilevante interesse per l’ateneo".
Il focus è su una comunità particolare: la Chiesa italiana. Si tratta dunque di come i personal media, ovvero gli schermi che tutti hanno in tasche o zaini, possono essere un’opportunità per l’intervento pastorale. La sociologa curatrice precisa: «I rischi e le degenerazioni di una sovraesposizione alla comunicazione digitale sono noti. Ma nei tre anni della ricerca ci chiederemo come trovare qualcosa di costruttivo nell’intreccio tra relazioni sociali e nuovi media».
Il progetto unisce sociologi, pedagogisti, psicologi ed economisti dell’ateneo milanese. Spiega Pier Cesare Rivoltella, professore di Didattica e Tecnologie dell’istruzione: «Il rapporto tra tecnologie e comunità è consegnato a un’oscillazione tra il like e l’amen, come dice il messaggio del Papa per la Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali. Ovvero: da una parte la leggerezza del legame debole, dall’altra la definitività dell’adesione forte. Non è un problema di supporti, ma di intenzionalità». In quest’ottica il Cremit, il centro di ricerca che Rivoltella dirige, ha appena concluso un corso online sull’educazione digitale realizzato insieme alla Cei: seimila iscritti tra catechisti, insegnanti di religione, persone impegnate nelle parrocchie e religiosi.
Ora l’obiettivo del progetto della Cattolica è formare figure pastorali non solo in grado di gestire gli strumenti digitali, ma anche di facilitare l’attivazione delle persone e delle famiglie entro comunità di legami solidi. Nelle parrocchie si promuoveranno i "tutor di comunità" digitali, per suscitare relazioni significative. Tra i riferimenti ci sono il concetto di "tecnologie di comunità" sviluppato da Rivoltella e la "svolta relazionale" di Pierpaolo Donati.
Proprio quest’ultimo, il sociologo dell’Università di Bologna, è intervenuto al convegno: «Fin dagli apostoli la forza della Chiesa è l’essere comunità di reti e relazioni». Occorre rileggere quella storia in una società con lo smartphone in mano: «Viviamo relazioni aumentate, perché i nuovi media ne hanno aperto il vaso di Pandora». Relazioni più effimere, liquide come diceva Bauman: «Eppure, sotto la liquidità superficiale, vi sono strutture relazionali che non sempre vediamo. Il punto è che per diventare comunità – online come offline – occorre condividere, avere cose in comune». Ed è qui che vi è spazio di azione, con la consapevolezza di un rischio: «Nei nuovi media prevale l’identità sociale (chi sono io per gli altri), a scapito di quella personale (chi sono per me): questa tendenza attiva meno capacità autoriflessive».
Al convegno interviene anche Mario Morcellini, richiamando la posta in gioco: «L’attacco alla tradizione si trasforma in esaurimento della socializzazione così come l’abbiamo conosciuta». Per il commissario dell’Agcom «la nuova tecnologia pervasiva rottama visioni del mondo preesistenti piuttosto che "costituirsi" davvero come nuova cultura: la sua attrattività risiede nella sensazione di onnipotenza, istantaneità e orientamento alla gratificazione del piacere che è in grado di regalare ai moderni».
Ed è qui, quando il declino culturale appare concreto, che si ritrovano le ragioni per cui è necessario che la Chiesa abiti i nuovi media: «C’è un’evidente disponibilità alla rimozione di spiegazioni complesse, in un tempo dominato da messaggi ipersemplificati e spesso cacofonici».
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Durante il convegno "Legami sociali e stili comunicativi di comunità" nasce il progetto di ricerca sulla Chiesa italiana e sulla pastorale della comunicazione
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