venerdì 22 gennaio 2021
Mercoledì, quando il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, si presenterà in Aula per la relazione sullo stato della Giustizia, ci sarà il primo test importante. "Volenterosi" cercansi
Il premier Giuseppe Conte deve fare quadrare i conti al Senato

Il premier Giuseppe Conte deve fare quadrare i conti al Senato - Reuters

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L’affanno sui numeri è reale. Più precisamente: è reale l’affanno sulla composizione di due gruppi parlamentari, uno alla Camera e uno al Senato, che poi partecipino come "soggetto colletivo" e non come somma di singoli parlamentari al rilancio dell’azione di governo, dal nuovo patto di legislatura al rimpasto dei ministri, dalla "blindatura" del Recovery plan alla ricostituzione di una maggioranza anche nelle Commissioni parlamentari.

Il premier è consapevole della difficoltà e in serata fa la prima delle mosse politiche annunciate nei due discorsi alle Camere di lunedì e martedì: lascia la delega ai Servizi segreti e nomina sottosegretario con delega agli 007 un uomo di sua assoluta fiducia, Pietro Benassi.

È una risposta ai timori di Pd ed M5s, che iniziano ad essere preoccupati dallo stallo e dall’imminente scadenza di mercoledì, quando il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede si presenterà in Aula per la relazione sullo stato della Giustizia già sapendo di avere contro le opposizioni, Italia Viva e anche - almeno così dicono - alcuni di quei senatori che martedì sera sono rimasti a lungo sospesi tra fiducia, sfiducia e astensione.

Anche se non è stato attivato un "timer" all’operazione-responsabili, Conte ha la necessità ormai di avere una nuova maggioranza, ben strutturata, all’inizio della prossima settimana. Il premier e il Pd - più defilato M5s - per favorire l’emersione dei "volenterosi" lanciano segnali chiari. «O ha successo questa operazione o si va al voto», ripete Conte a chi va ad aggiornarlo sui numeri a Palazzo Chigi.

Il "gran consigliere" del segretario dem Nicola Zingaretti, Goffredo Bettini, dice più o meno le stesse cose mettendo sul piatto però l’opzione delle dimissioni del premier al fine di far nascere un Conte-ter.

È consapevole, Bettini, che la prospettiva di un esecutivo nuovo di zecca potrebbe allettare di più i volenterosi rispetto all’opzione di sostenere l’attuale esecutivo "accontentandosi" delle deleghe rimaste vacanti. In realtà, anche i dem preferiscono l’opzione del Conte-ter con dimissioni formali del premier, ipotesi che però il presidente del Consiglio vorrebbe scongiurare in tutti i modi.

In questo stallo prova a reinserirsi Matteo Renzi con parole distensive verso Palazzo Chigi. Forse per la prima volta il leader Iv apre concretamente alla permanenza di Conte sulla poltrona da premier. «Siamo ancora in tempo per fermarsi, il mio appello è "anziché fare il compro, baratto e vendo di singoli parlamentari, tornate alla politica". Il mio personale suggerimento al presidente del Consiglio e tutti gli altri è smettiamola di fare le polemiche che stanno facendo in queste ore. Se volete confrontarvi nelle sedi istituzionali noi vi abbiamo scritto, vi abbiamo fatto le proposte, ci siamo».

La risposta di Conte è secca: non se ne parla, meglio il voto. Non è detto però che queste siano le idee di Pd ed M5s nel momento in cui naufragasse l’operazione-volenterosi. Renzi perciò il piede nella porta lo lascia. Magari qualcuno, quella porta, la riaprirà. Proprio perché al Senato un gruppo con 10 componenti - il minimo per strutturarsi fuori dal Misto - non si trova. E anche alla Camera Bruna Tabacci, che certamente è più avanti, sta trovando difficoltà burocratiche a impiantare la "quarta gamba" intorno al simbolo del Centro democratico.

Il premier allora vuole cambiare strategia: puntare più nettamente sui forzisti e sui renziani indecisi, girare in quella direzione tutti i suoi pontieri. In questa direzione va anche l’apertura del tavolo parlamentare di maggioranza sul proporzionale, che non lascia indifferente nemmeno i parlamentari che fanno riferimento a Giovanni Toti. È anche per questa offensiva, in realtà, che Renzi tende la mano.

Il problema del voto sulla Giustizia è in ogni caso oggettivo. Condurre i "garantisti" - benché indecisi sul futuro del governo - a votare la relazione di Bonafede è impresa per nulla facile. E se il governo andasse sotto su un tema che tra l’altro è oggetto delle riforme previste nel Recovery plan, Conte dovrebbe rassegnarsi a lasciare Palazzo Chigi con poche chance di pilotare quanto accadrebbe dopo. Il pallino, a quel punto, sarebbe univocamente nelle mani del capo dello Stato.

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