Una svolta, e subito. L’idea che ha mosso il ministro con delega alla Famiglia, Andrea Riccardi, a scoprire repentinamente due giorni fa le carte sul suo piano in tema di conciliazione tra lavoro e figli è senza dubbio condivisibile: l’Italia è in ritardo e la situazione è ormai insostenibile per troppi genitori.Sul tavolo degli altri ministeri, così, sono state seminate in ordine sparso alcune richieste innovative: prima fra tutte quella di estendere il periodo del congedo parentale fino ai 18 anni (dagli 8 di oggi) in maniera da “coprire” anche la fase adolescenziale, oggi tra le più problematiche della crescita: «Si tratta di uno spunto importante – commenta Giovanna Rossi, ordinario di Sociologia della famiglia all’Università Cattolica di Milano e direttore del Centro di ateneo studi e ricerche sulla famiglia – proprio perché finalmente ci si rende conto della mancanza di presidi educativi per questa fascia d’età, così fragile». L’assenza dei genitori sa fare male ai figli, soprattutto là dove mancano reti di appoggio stabili e sicure, a cominciare da quelle della scuola o degli oratori. Senza contare il caso dei figli adottivi, che «in oltre la metà dei casi – come spiega il presidente dell’Aibi Marco Griffini – arrivano in Italia ben oltre gli otto anni. Le famiglie, da questo punto di vista, sono state troppo a dimenticate e l’attenzione del ministro ci sembra un segnale importante».
E tuttavia quella stessa assenza dai ragazzi può essere davvero colmata «se restare a casa significa anche assistere emotivamente e affettivamente i figli», aggiunge lo psicologo Alberto Pellai, a dire che la presenza dei genitori va qualificata prima ancora che quantificata in anni. Proprio come dovrebbe avvenire per i nonni, gli altri grandi protagonisti del piano di Riccardi, a cui secondo il ministro dovrebbe essere concesso il congedo parentale qualora i genitori, a causa di lavori precari, non potessero goderne. «Ecco, qui entrano in gioco le mie perplessità – continua Pellai –. Intanto perché dal punto di vista educativo il meccanismo della delega non funziona. E poi perché con una proposta di legge stiamo di fatto avallando la precarizzazione degli adulti, che così tanto male fa ai genitori e di conseguenza alle loro relazioni coi figli».Perplessità confermate da Stefania Ulivieri, psicopedagogista e docente di Teorie e modelli della consulenza pedagogica all’Università Bicocca di Milano: «In questo caso mi sembra che si tenti di edulcorare la realtà. Realtà in cui, va detto con chiarezza, sempre più coppie vanno incontro al primo figlio ai quarant’anni, quando cioè i nonni sono fuori gioco dal punto di vista lavorativo». Insomma, l’immagine del nonno “ragazzino” e ancora produttivo sicuramente esiste, ma non è il ritratto dell’Italia ai tempi della crisi. Che se sul welfare dei nonni conta, eccome, lo fa proprio perché è fallito (o non è mai stato messo in atto) un serio progetto di conciliazione, «che significa in primo luogo agire sugli asili e su tutti quei servizi che dovrebbero sussistere al di fuori della dimensione familiare – continua la Ulivieri – e che sono indispensabili anche per responsabilizzare i genitori “staccandoli” dal loro essere eterni figli».Altra ferita destinata a rimanere aperta, quella della retribuzione. Nel piano di Riccardi dovrebbe essere assicurata fino al 70% del lordo (oggi è al 3% e solo fino ai 3 anni) senza costi aggiuntivi per le imprese: «In pratica – commenta la Rossi – l’ente previdenziale anticiperebbe la somma che poi, però, sarebbe restituita a rate dal lavoratore. E qui le cose non tornano, perché invece che entrare in una logica premiante per chi fa la scelta di restare a casa, di nuovo si torna a penalizzare genitori e famiglie». È la cultura tutta italiana «che vede il lavoratore prima del genitore – aggiunge la Ulivieri –, convinta che la produttività conti più della realizzazione di un progetto esistenziale. Quando senza il secondo, invece, la prima stenta a decollare».