MILANO La mafia dei colletti bianchi usa in modo spregiudicato il settore dell’azzardo per fare profitti, in un complicato gioco di scatole cinesi e intrecci transnazionali. «Per aumentare l’efficacia nel contrasto a organizzazioni come quelle individuate dalla Direzione distrettuale antimafia, sarebbe necessario l’impulso della Commissione europea. Ciò che va approfondito è la capacità di ricostruire l’intero assetto proprietario di determinate società, spesso riconducibili a soggetti diversi in Paesi diversi » osserva Michele Riccardi, ricercatore del centro di ricerca Transcrime dell’Università Cattolica. «In un’analisi che presenteremo proprio domani a Milano – spiega – emerge che il settore delle videolottery e del cosiddetto gioco online rientra tra i dieci settori economici più a rischio riciclaggio. È uno dei settori emergenti, perché gli altri ambiti in cui l’attività di riciclaggio del crimine prospera sono più tradizionali come i bar, la ristorazione, l’edilizia, i servizi personali come i centri massaggi».
Con l’operazione coordinata dalla Dda siamo però di fronte a un ulteriore salto di qualità. Non è così?
Il problema è che ormai ci sono organizzazioni criminali specializzate nella creazione di società fittizie, necessarie per emettere fatture false e alimentare fondi neri. Si avvalgono di veri e propri professionisti e non disdegnano, come si è visto, rapporti col mondo politico. Più in generale, l’operazione odierna dimostra che le organizzazioni a delinquere allungano i loro tentacoli nei settori a maggiore intensità di contante e che presentano, come avviene con l’azzardo, una regolamentazione frammentata e carente, oltre a un forte potenziale di business. Le macchinette possono anche essere truccate per fini illeciti: per i clan è l’identikit perfetto di ciò che a loro serve.
Come agire dal punto di vista normativo per scovare fenomeni del genere che portano alla luce, per dirla col giudice Pignatone, «una gigantesca evasione»?
Attenzione: non parliamo più solo di reati mafiosi, ma della necessità di perseguire i colletti bianchi. Occorrono strumenti contro l’evasione fiscale, i reati fallimentari ma poi bisogna sapersi muovere in un contesto transnazionale, come dimostra l’utilizzo ampio e complesso di società offshore. Anche se, dal punto di vista della struttura di controllo, le società italiane sono tra quelle in cui la presenza di soci stranieri è più bassa: solo l’1,7%, secondo la nostra analisi. E ciò permette di avere più trasparenza e meno opacità.
Sta dicendo che l’Italia nel contrasto al riciclaggio di denaro sporco è più avanti rispetto al resto d’Europa?
Sì. In Italia, grazie all’ottimo lavoro dell’Unità di informazione finanziaria, del Tesoro e di Bankitalia, l’analisi sui fattori di rischio è certamente più avanzata. Senza dimenticare le leggi sulla confisca dei patrimoni mafiosi, che non hanno pari nel Vecchio continente. Su riciclaggio e scambi illeciti, gli altri Paesi dell’Ue sono più indietro.
Resta poi il contrasto al finanziamento delle cosche sul territorio, grazie alle slot illegali e non solo...
Le fattispecie di infiltrazioni avvengono nella stragrande maggioranza dei casi dal basso, perché se devi affidare un business illecito a dei professionisti, come avviene per il crimine transnazionale, ti esponi a dei grossi rischi. Quel che dimostra lo studio Transcrime che presenteremo domani è che il rischio riciclaggio è più alto laddove ci sono evidenze di infiltrazioni criminali, alti livelli di contante (ancora elemento cruciale per le organizzazioni criminali), evasione fiscale, Comuni sciolti per mafia e segnalazioni sospette. In alcune province del Sud ( in primis Calabria), ma anche in alcune zone del Nord Italia, ad esempio Imperia o Prato.