venerdì 27 dicembre 2013
​Rientrato lo sciopero della fame che aveva indotto una decina di persone a cucirsi la bocca. «Grazie per l’accoglienza, ma vogliamo sapere quando usciremo: non toglieteci la speranza» Pino Ciociola
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Non c’è l’inferno qui dentro. «Il nostro problema è uno solo. È la libertà. Abbiamo scritto la lettera a papa Francesco, che è il santo della povera gente, dei disgraziati come noi, per ringraziarlo e per chiedergli di venirci a vedere». Chiedono «un’opportunità», aggiunge il direttore del Centro per la cooperativa Auxilium (che la gestisce), Vincenzo Lutrelli. Una decina di loro quattro giorni fa si era cucito la bocca e aveva portato fuori i materassi per restare all’aperto. Poi, «in segno di rispetto del Natale», hanno sospeso la protesta. Ieri sera sono usciti nuovamente, in un cortile interno illuminato da poche luci e chiuso da sbarre alte. Siamo dentro con loro, «non abbiamo fatto e non faremo nulla di sbagliato, protestiamo con civiltà», giurano. Nel freddo. Sotto la pioggia.Nordafricani quasi tutti e tutti fra venti e ventotto anni, sono cinquantaquattro uomini e ventisei donne. La gran parte sbarcata a Lampedusa. La gran parte senza permesso di soggiorno. Un egiziano mostra la sua cicatrice di pallottola alla caviglia destra, gli spararono durante i tumulti della guerra civile, per questo è scappato dal suo Paese. Un ragazzo tira su la manica e fa vedere una lunga cicatrice sull’avambraccio sinistro, «ma lavoro solo col braccio destro pur di far mangiare la mia famiglia», dice.Si riparano con le coperte, con la plastica dei sacchi neri dell’immondizia, con sciarpe, cappelli, guanti. Non se ne andranno «finché non cambia qualcosa». Sdraiato nella sera bagnata c’è un ventottenne egiziano, vive con un solo rene, una malformazione dalla nascita, come quella che ha anche sua madre. In una stanza, vicino alla Polizia, moglie e marito parlano tenendosi le mani, è l’orario durante il quale possono incontrarsi.Non è certo il Grand Hotel, il Cie di Ponte Galeria. Ma, davvero, nemmeno l’inferno. «Qui le persone si comportano bene con noi – spiegano più volte –. I poliziotti, che fanno il loro lavoro, gli operatori della cooperativa che ci assistono, tutti quelli che lavorano in questo Cie. Ci sono sempre venuti incontro per ogni nostra esigenza. Noi protestiamo soltanto per la nostra libertà, niente altro. Non è vivere questo, senza tempi certi». Ci tengono a mostrarti le loro stanze tenute in ordine.L’Italia li ha aiutati, ha aperto loro le porte «e noi vi ringraziamo. Ma non abbiamo più dignità. Per noi è importante essere in regola. Poi, chi sbaglia, paga ed è giusto così». Ma sono tanti gli stranieri in Italia, forse troppi? «Allora perché ci hanno accolti? Perché?». Magari preferirebbero che si affondassero i barconi sui quali arrivano? «Non è meglio morire che vivere così? Trattati in questo modo? Mesi e mesi, anche un anno, un anno e mezzo, rinchiusi e senza sapere che fine si farà? Dio non dice forse che siamo tutti uguali, che siamo tutti esseri umani? Ed è umano questo? È uguaglianza».Raccontano le loro storie. Come quella di chi ha ventisei anni, tiene gli occhi bassi, lavorava nella sicurezza nigeriana e dopo una campagna elettorale è dovuto scappare da lì per ragioni di persecuzione politica. O quella di chi, sempre nigeriano, tiene in tasca le radiografie della tibia spezzata in tre punti, ma per convincerti completamente solleva anche i pantaloni e il ferro che gliela tiene insieme è distinguibilissimo. Freddo e acqua non danno tregua stasera. Dietro l’altare, nella chiesa che è un lungo stanzone, c’è il Crocifisso, una Madonnina e, fra la paglia, un grande Bambin Gesù. Di fronte, a pochi passi, un altro stanzone è la moschea, tappeti a terra e al muro una bussola per capire la direzione della Mecca.Non tutti qui sono educande, c’è passato anche qualche avanzo di galera, ma per esempio le operatrici della coooperativa (presenti ventiquattr’ore su ventiquattro) non hanno «mai avuto problemi». Un ragazzo nigeriano, diciannove anni e occhi dolcissimi, è stato anche in una casa famiglia e adesso, per ragioni solo burocratiche, è senza permesso di soggiorno. Le nuvole anneriscono il cielo. È l’ora della cena: stasera pasta alla puttanesca e arrosto di tacchino con purè. Lutrelli lo ripete: «Chiedono solamente che non sia tolta loro la speranza…».
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