Grasso, anzi chiattone, polpettone, panzone, così accompagnavano – un po’ simpatici un po’ maliziosi – il suo nome e la sua pinguedine adolescenziale. E Vincenzo li sentiva ripetere dai compagni di classe e dagli amici nelle strade del quartiere dove abita, Pianura, popolosa e disagiata periferia ovest di Napoli. Fino al pomeriggio del 9 ottobre scorso erano solo parole, senza conseguenze per Vincenzo, né per il suo amor proprio né per il suo corpo. Era un’abitudine verbale che un poco lo inorgogliva, che dopo tutto lo faceva emergere dall’anonimato nel povero quartiere. Quasi un identificativo, un ritornello che inseguiva il ragazzo specie quando correva affannato dietro al "supersantos" nelle partitelle sotto casa, non rinunciando lui a tirar calci forse sognando, come tutti, lo scatto di Higuaìn o la falcata di Maradona.Vincenzo, 15 anni non ancora compiuti, carattere aperto e cordiale, sorriso pronto, rispondeva alla presa in giro con una risata e una smorfia ricambiando i compagni con altrettante osservazioni sulle caratteristiche altrui. Era il suo modo di difendersi e inconsapevolmente, da ragazzo grassottello, di affermare la sua diversità, non tanto rara a Pianura come in tutta la Campania. Un rimpallo di sfottò, tollerato in attesa che Vincenzo crescesse e, come dicono gli adulti, si affinasse «perdendo in larghezza, guadagnando in altezza».Il caldo pomeriggio del 9 ottobre rompe un equilibrio delicato mostrando nella maniera più cruda e violenta il dileggio proprio della diversità: non più scherzi verbali bensì l’aggressione fisica. In un autolavaggio del quartiere, tre 24enni seviziano Vincenzo con un tubo compressore perché, lo irridono, «è grasso e vogliono gonfiarlo ancora un po’». Pianura si risveglia sconvolta e si organizza in corteo accanto a Vincenzo e a tutti i bambini e i ragazzi, deboli vittime di scellerati. Il ragazzo resta due giorni in ospedale in prognosi riservata con gravi lesioni all’intestino, ora è in via di guarigione sostenuto dagli psicologi dell’ospedale San Paolo dove è tuttora ricoverato. Dei suoi aguzzini uno, sposato e padre di un bimbo di 2 anni, è in carcere con l’accusa di tentato omicidio e violenza carnale, gli altri a piede libero per concorso in reato: per costoro, si difendono, è stato solo «un gioco finito male».