«Non è vero. Non si va lì per divertirsi e perdere un quarto d’ora. Lì si perdono i soldi, si perde la vita. Si perde tutto. Tutto». Aveva un’osteria, Francesco, considerata fra i primi cinque o sei ristoranti di Benevento. E non ha mai giocato. Poi i dissapori con la moglie, le difficoltà in casa e comincia a rifugiarsi nelle sale giochi. Ci passa ore. La sera, se si sente giù, chiude il ristorante e va a giocarsi l’incasso di giornata alle slot machine. A «passarci più ore possibili». La realtà è li fuori, lui preferisce restare dentro.
Se ne rende conto, è diventata dipendenza, non riesce più a farne a meno. Va via di casa, «come un vigliacco», deve cedere l’osteria, perde tutto. «Arriva l’epilogo», spiega. Arriva il conto da saldare alla realtà. È nel baratro.
Finisce in Caritas «grazie a don Nicola (De Blasio, il direttore, ndr)», che anni prima lo aveva anche sposato. Da qualche mese dorme qui e qui, nella mensa per i poveri, cucina: «Provo qualcosa che non si può descrivere - dice - , qualcosa che ti fa capire tante cose. E allora ti impegni a far uscire un piatto, anche il più semplice possibile, per far si che si siede a tavola con i disagi che ha possa avere sensazioni veramente belle». Qui lo chiamano “Ciccio chef”.
Pensa a chi è com'era lui, com'è stato lui. Vorrebbe poter spiegarlo, dirlo: «Non fate gli errori che ho fatto io. Il gioco porta solo disastri, può essere qualcosa di letale da cui non si riesce poi a tornare indietro». Le lacrime gli rigano il volto, ma ce la farà: «Adesso mi tocca vincere davvero questa partita».